Fabrizio Fiorentino

L’imperfetto: aggiusta il presente e prepara il futuro senza remore

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La lunga eco della vicenda di Charlie Kirk è arrivata anche in Italia con una miscellanea di reazioni che anche ai più scettici hanno fatto rilevare che l’Occidente è ancora molto sensibile ad una spiritualità incarnata, che determina le direzioni della vita.

Insieme alle metafore, le parabole sono le figure retoriche più famose del canone evangelico, storie simboliche con significati profondi e nascosti. In particolare la parabola de «Il figlio perduto e il figlio fedele», meglio conosciuta come parabola del «figliol prodigo», mi pare possa applicarsi per leggere, o forse augurare, la realtà spirituale presente. 

Parole chiave di questa parabola sono ”perdere e trovare”/ “ trovare e salvare”, e le domande di fondo potrebbero essere: da che cosa dipende la vita? Che cos’è una vita “salva”? Chi tra di voi ha letto il testo di Primo Levi: «I sommersi e i salvati», comprenderà meglio i miei riferimenti. 

Nel DNA delle religioni, tutte le religioni e la cristiana in particolare, c’è un punto invalicabile di differenza; per riprendere il Vangelo: ci sono i pubblicani e i peccatori, e poi ci sono i farisei. Non c’è secolo nella chiesa che non abbia fatto questa differenza; ed è proprio per questo che Luca riporta la parabola (cf. Vangelo di Luca, cap. 15, versetti 11-32).

Ora, passi per l’antichità, ma come è possibile che il medioevo, così vivace, così creativo, così attento alle corporazioni, al diritto, all’arte, non abbia posto le basi per un cambiamento? E così il Rinascimento, l’età moderna e finalmente noi. C’è, come scrive Primo Levi, una zona grigia di potere tra oppressi ed oppressori; è il senso di colpa, tale che fra gli oppressi non tutti si vogliono salvare. Esattamente come in molti cristiani, c’è una «angoscia della liberazione», e fra di noi milioni di “figli maggiori” pronti alla critica e alla menzogna contro chi ha superato il senso di colpa, ha superato l’angoscia della liberazione, e osa vivere da libero, proprio come Gesù a cui i farisei mormorano: «accoglie i peccatori e mangia con loro». E ormai tempo di esprimere una libertà rispetto ad una dimensione di chiesa che sta velocemente morendo per asfissia, almeno in alcune sue forme istituzionali. Per questo mi preoccupano i fondamentalismi, i tanti sommersi che continuano ad essere vittime di sensi di colpa, quelli che insistono sulle forme esteriori, che non colmano vuoti relazionali e che non riconosconol’analfabetismo emozionale ed affettivo. È tempo di mettere in campo una buona trasformazione, intuire che siamo in divenire, in evoluzione e che la vita non è degenerazione colpevole da una perfezione originaria: il “paradiso” non è perduto, è da fare! È tempo di vivere da “figli minori”, non per sperperare patrimoni ma per condurre un’esistenza liberata così come suggerisce il Vangelo. 

Chi è dunque, veramente, il figlio perduto? E chi il figlio fedele? Nella continua lotta tra sommersi e salvati, fa specie che i sommersi tentino disperatamente di tirar giù quelli che vogliono tornare in superficie a respirare. 

O forse ancor di più, lo sono i salvati che non si fanno testimoni della novità.


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