Mauro Billetta

Frate Cappuccino parroco di Danisinni a Palermo

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I religiosi che hanno scelto di rimanere a Gaza city per non lasciare da sole le persone più fragili le quali non potrebbero affrontare il cammino di evacuazione se lo volessero, così come intimato dal governo israeliano, hanno fatto una scelta di resistenza. Lo stesso dicasi dei medici che prestano soccorso o dei giornalisti che credono nella missione di raccontare la verità dei fatti, tutti loro tra qualche giorno potrebbero morire insieme a tutti i palestinesi che hanno deciso di rimanere per difendere il diritto ad esserci denunciando con la loro “sumud” l’ingiustizia che si sta perpetrando nella loro terra.

Credo che il loro rimanere ci spieghi il senso della festa della Esaltazione della Croce che oggi – noi cattolici – stiamo celebrando. Una liturgia paradossale che svela il senso profondo della resistenza. Protagonista è Gesù sulla croce e Maria, la madre, ai piedi di essa.

Resiste Gesù il quale fin dal principio del suo ministero contesta le proposte alternative del tentatore in quale vorrebbe fargli saltare il viaggio della storia, con tutta la sua fatica e delusione, offrendogli potere ed agi a condizione di rinunciare alla sua dignità e alla sua missione. La logica del potere è sempre seduttiva perché oppone al travaglio dei giorni l’ebrezza della vita facile segnata dagli appagamenti, il prezzo è sempre il compromesso.

Chi sta nella propria missione quotidiana sa che non è lì per appagarsi ma per spendersi per la causa del bene e della giustizia sociale, il criterio non è certo il proprio compiacimento. Senza giustizia non ci sarebbe bene ed entrambe costruiscono la pace, consumarsi per questa causa rivela la passione e il senso pieno dell’esistenza umana.

Il Crocifisso è finito su quel palo perché non ha accettato compromessi e ha perfino annunciato che la pace è frutto della separazione e cioè del lasciarsi purificare da ogni tornaconto perché se non si impara a guardare il mondo secondo lo sguardo dell’altro, allora, non potrà esserci possibilità di costruire ponti di pace.

Perdere l’egocentrismo, dunque, è la premessa per affinare l’ascolto e la visione, per riconoscere la realtà oltre le apparenze caratterizzate da narrazioni facili infarcite di condanne e giudizi altisonanti.

Lui, piuttosto, si compromette con gli ultimi di quella società e questa vicinanza ne fa un “contaminato” che destabilizza la Legge religiosa chiedendo a ciascuno di ripartire da una fede che accoglie l’amore del Padre. È un nuovo rapporto con se stessi e con gli altri quello che propone, uno stare in relazione frutto della gratitudine per la gratuità del Cielo.

L’uomo religioso, così facendo, perde ogni potere, il suo status non è più centrato sul fare e meritare i favori del Cielo – equivoco che lo farebbe sentire migliore degli altri – ma sull’ammettere che la propria fragilità è comunque degna dell’amore del Padre il quale desidera donare tutto di sé.

Sulla croce troviamo il dono totale, ciò che è più caro, il Figlio, viene donato all’umanità d’ogni tempo e secondo una modalità paradossale: morire affinché ciascuno possa avere la vita.

Questa offerta è paradossale perché per accoglierla bisogna perdere le speranze di successo, di rivincita o appropriazione. Sulla croce Gesù è tremendamente sconfitto e per questo vincitore. Le sue ultime parole sono parole di perdono e di consegna al Padre e in quel frangente c’è anche la consegna della madre, certamente il legame più grande che ha sperimentato in terra.

Maria fin dall’annuncio della nascita di Gesù ha dovuto fare un cammino di graduale cambiamento di prospettiva. Lei sapeva della propria limitatezza, eppure accoglie la proposta riconoscendo che Dio può agire con noi se gli diamo la possibilità. Fin da subito la sua mentalità è stata contestata dall’evidenzia, si trova a partorire in una mangiatoia e lì vede solo i pastori – gli ultimi della società del tempo – venire ad acclamare il Re bambino. La promessa di salvezza e regalità che aveva ascoltato, sin da subito ha bisogno di una incredibile spoliazione mentale e imparerà a scrutare la realtà secondo un codice inedito.

Ma sarà ai piedi della croce che dovrà compiere la ricomprensione più grande. Lì il figlio che ama è morente con un supplizio abominevole, eppure porta sopra il capo la scritta “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei”.

Lei sa bene che quella iscrizione sulla tavoletta di legno è vera ma suo figlio è lì agonizzante in una condizione di grande umiliazione…

Maria rimane, non fugge sebbene il supplizio sia grande, è l’atto estremo di fiducia di chi continua a credere e sperare anche se la speranza è tradita dalla realtà che appare ben diversa. Sembrerebbe, piuttosto, che l’impero romano insieme ai religiosi che esercitavano il potere della Legge avessero avuto la meglio.

Proprio in quello scenario un centurione romano vedendolo morire in quel modo poté esclamare: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”.

Vedere aldilà dell’evidenzia è l’osare della fede, Maria l’aveva anticipato con quella esclamazione così profetica “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili…”, ora però è chiamata a vivere il tempo del rimanere ai piedi di quella croce quando nulla è chiaro ma è ancora possibile confidare nell’alba che sta oltre il buio della notte.

Oggi celebriamo anche la memoria del martirio del beato Giuseppe Puglisi. Sebbene lui sapesse che il lavoro pastorale nella sua parrocchia avrebbe potuto portarlo alla morte, aveva continuato a svolgere la sua missione quotidiana perché rimaneva convinto della presenza del Cielo sulla terra attraverso l’opera di ciascuno. Soleva ripetere: “Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto … Dio ci ama, ma sempre tramite qualcuno”. A ciascuno, dunque, è dato di compiere la propria parte e nessuno potrebbe sostituirlo.


Luogo: Agorà Danisinni Fiume di Vita, Piazza Danisinni

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