E’ catanese la direttrice dell’Harvard Brain tissue resource center del McLean Hospital di Boston, ovvero la più grande banca dei cervelli del mondo. Si chiama Sabina Berretta e la sua storia è comune a quella di tanti siciliani che sognavano di lavorare in Italia ma le prospettive erano talmente ristrette che ha scelto di fare fagotto e varcare l’oceano. La storia della scienziata è raccontata da Repubblica che ha intervistato la catanese.
Laureata con lode in neurologia Sabina aveva l’ambizione di fare la ricercatrice: “Solo che le ricerche nessuno me le pagava – racconta a Repubblica –: ero una volontaria. E anche da laureata non c’era posto per me. In quell’istituto si liberava però un posto da bidello: pensai che poteva essere un modo per guadagnare dei soldi continuando a studiare. Dopo aver spazzato i pavimenti, insomma, potevo andare in laboratorio e proseguire le ricerche con uno stipendio su cui contare. Non vinsi nemmeno quel posto: eravamo troppi a farne richiesta”.
Nel 1990 la svolta. Vince una borsa del Cnr per studiare un anno all’estero e la scienziata catanese sceglie il Mit di Boston: “Andò bene – racconta a Repubblica – scaduta la borsa, ero stimata e mi tennero”.
Berretta spiega anche ciò che negli Usa “succede continuamente. Gli studenti approdano in America da tutta Europa per fare quei lavori di laboratorio che in America non vengono pagati. I più bravi vengono assunti: e siccome a casa non hanno prospettive, molti fanno come me e restano“.
Ad Harvard ha proposto il suo studio sugli effetti della schizofrenia sul cervello e lì c’era la banca dati più importante del mondo: “Avevo bisogno di lavorare sul tessuto umano per far progredire le mie ricerche perché fino ad allora avevo analizzato solo modelli animali. Prima ho lavorato con la direttrice del centro, poi sono diventata una ricercatrice indipendente, con budget e staff. Quando la direttrice è andata in pensione, ero quella che conosceva meglio l’archivio dei cervelli: darmi il suo posto fu la scelta più ovvia”.
Interessantissimi gli studi che conduce sul cervello umano: “Ogni esperienza lascia il segno – dice –, così come il tempo che passa. Il cervello muta ad ogni nuova informazione. Certo, qualcosa è visibile a occhio nudo, qualcosa solo al microscopio. Come la depressione: difficile da vedere, ma lascia il segno”.
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