In un periodo economico disastrato come questo, investire in titoli e obbligazioni potrebbe essere davvero rischioso, visti i numerosi fallimenti e scandali che hanno coinvolto alcune banche.
Al contempo però potrebbe anche rappresentare un valido modo per far fruttare i propri risparmi.
Quello che si chiede all’investitore inesperto, al piccolo risparmiatore, è di comportarsi come un “buon padre di famiglia” che, lungi dal gestire il proprio portafoglio finanziario in maniera tutt’altro che casuale e disorganizzata, agisca secondo un disegno ben preciso che minimizzi i rischi e gestisca l’incertezza tipica dei mercati finanziari.
Fino a pochi anni fa, questo insidioso incrocio in cui il piccolo risparmiatore doveva muoversi con freddezza e rapidità, era gestito da un vero e proprio “semaforo”.
Un semaforo come indicatore sintetico che indicava la percentuale di probabilità di guadagnare o perdere su un titolo, contrassegnato da tre cerchi colorati, rosso, verde e giallo, facile e immediato da comprendere anche per il risparmiatore più inesperto, che fino al 2011 veniva riportato nei prospetti di offerta di compravendita di titoli.
Tutto ciò fin quando le banche, travolte dalla crisi finanziaria mondiale, hanno avuto bisogno di nuovo capitale.
Ma dato che gli investitori istituzionali esperti e consapevoli erano in fuga, si rendeva necessario andare a prendere i soldi agli ingenui risparmiatori, i cd. investitori al dettaglio.
Le banche avevano disperatamente bisogno di eliminare quel semaforo, con la complicità e l’inerzia della Consob, che allentava le maglie della rete dei controlli sulle obbligazioni e permetteva agli istituti di credito di mettere in circolazione prodotti poco adatti, in quanto complessi e rischiosi, ai piccoli investitori.
La prima mossa è stata quella dell’allora Presidente della Consob Lamberto Cardia, che nel 2009 eliminò l’obbligo dei cosiddetti “scenari probabilistici”, stabilendo che fosse sufficiente che la banca indicasse nel documento informativo che cosa sarebbe successo al rendimento del prodotto in tre casi (i cosiddetti “scenari what if”): uno favorevole, uno sfavorevole, uno neutrale.
Senza spiegare, però, quanto fosse verosimile che ciascuno dei tre si verificasse.
Non a caso nel dossier Banca Etruria, il reato per alcuni funzionari è la truffa aggravata, avendo correttamente ritenuto la Procura che le persone sarebbero state indotte a investire tutti i propri risparmi nelle obbligazioni, senza essere consapevoli del rischio di perdere tutto, come poi si è in effetti verificato.
Clamoroso in tal senso il caso della subordinata emessa da Banca Etruria a Ottobre 2013 in mancanza di queste informazioni essenziali. In questo, come in numerosi altri casi, vi era ben il 62,7 per cento di probabilità di perdere la metà del capitale.
Dopo la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 18 settembre 2013 e quella del Tribunale di Torino in data 27 gennaio 2014, altra rilevantissima pronuncia volta a censurare queste malefatte da parte delle banche è stata quella del Tribunale di Milano che, con sentenza n.2145 del 13 febbraio 2014, ha fermamente ribadito che in assenza di informazioni specifiche sul profilo di rischio del prodotto, ricostruito attraverso il ricorso agli scenari probabilistici, l’investitore non è in grado di formulare un giudizio di convenienza economica in termini di costo-rischio-beneficio.
I giudici milanesi hanno persino condannato la banca titolare di quelle azioni al risarcimento dei danni nei confronti dell’investitore, atteso che la violazione di questi obblighi comportamentali risulta essere di notevole gravità, incidendo su aspetti essenziali della conoscenza e della valutazione del prodotto finanziario e sussistendo pertanto il rapporto di causalità tra le violazioni e l’evento negativo.
L’auspicio è che il risparmiatore nelle vesti di “buon padre di famiglia”, caduto senza alcuna colpa in una di queste insidie, costringa la banca a rispondere del suo illegale operato dinanzi gli organi di giustizia.
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