“Dobbiamo capire a 360 gradi se c’è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità… vediamo a chi dobbiamo fare saltare la testa”. Così Corrado Labisi, intercettato, parla con un amico, già appartenente al ministero della Difesa, all’indomani di una perquisizione eseguita dalla Dia, su delega della Procura, nell’istituto Lucia Mangano e al suo commercialista.
In questa circostanza, sottolineano dalla Procura, “chiaro appare il riferimento alla struttura investigativa della Dia”, diretta da Renato Panvino, e “ai magistrati inquirenti che svolgono le indagini”, il procuratore Carmelo Zuccaro, l’aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Fabio Regolo. Così come accertato nel corso di altre indagini, ricorda la Procura Distrettuale etnea, “Corrado Labisi ha mantenuto contatti con il pregiudicato Giorgio Cannizzaro, noto esponente della ‘famiglia’ mafiosa Santapaola-Ercolano”.
Labisi, osserva la Procura, era riuscito a “costruirsi una immagine modello di sé, tanto da indurre soggetti a lui legati a sostenerlo nelle sue iniziative, essendo considerato un paladino in difesa della legalità” e promotore di due premi antimafia: l”Antonietta Labisi’ e il ‘Saetta-Livatino’. Per il Gip, la personalità dell’indagato si pone come connotata da un rilevante tasso di pericolosità sociale: “da una parte le millantate amicizie importanti con apparati dello Stato o addirittura con i servizi segreti, dall’altra i rapporti di amicizia con mafiosi di grosso calibro, come Cannizzaro”, al quale, ricorda la Procura, “riserva un posto addirittura nelle prime file della chiesa dove si stanno celebrando i funerali della madre”. Una doppia personalità, secondo l’accusa, che ha denominato l’inchiesta ‘Giano bifronte’.
Da una perizia, del consulente dell’autorità giudiziaria, è emerso che Corrado Labisi ha utilizzato per fini diversi 1,3 milioni di euro e sua moglie 384.000 euro. Tra i soldi distratti, secondo la Procura, distraeva ingenti somme di denaro per pubblicizzare gli eventi da lui organizzati, la copertura di spese sostenute dalla moglie e dalle figlie, il pagamento di fatture emesse per cene e soggiorni ad amici. Avrebbe inoltre sottratto soldi all’Istituto per la copertura di costi relativi all’organizzazione del premio, considerato un riconoscimento alla legalità nella lotta contro le mafie e anche per eventi relativi all’associazione “Antonietta Labisi”, madre di Corrado impegnata in vita nell’opera di assistenza verso i minorenni e gli anziani nelle zone di degrado catanesi.
Così come emerso nel corso delle indagini, il trattamento riservato agli ospiti dell’Istituto “Lucia Mangano”, alla luce delle indebite sottrazione, riconosce la Procura di Catania “sarebbe stato di livello accettabile”, ma questo “soltanto grazie all’attività caritatevole del personale ivi preposto, e non certamente per la illecita gestione della famiglia Labisi. Infatti, così qualche dipendente in alcune testimonianze, rese note dalla Procura, afferma: “se fosse dipeso da loro, si continuerebbe a dare (ai pazienti) latte allungato con acqua, maglie di lana e scarpe invernali nel periodo estivo”.
Secondo l’accusa gli indagati “hanno dato corso ad una attività illecita anche associativa, molto grave perché a causa delle reiterate appropriazioni indebite per importi elevati, hanno creato i presupposti per la distruzione di un ente benefico, che è stato posizionato nel tempo a livello di un azienda con scopo di lucro e assoggettabile al fallimento, ponendo le basi concrete per privare la società civile di una struttura di assistenza ai bisognosi, soprattutto ai disabili e agli anziani, e con la prospettiva di una perdita di 180 posti di lavoro”.
Al fine di sanare la pesante condizione debitoria dell’Istituto, Labisi ha proceduto, nel 2017, alla vendita del ramo dell’azienda facente capo alla struttura destinata a Rsa a una associazione calatina, si è concretizzata, nei suoi aspetti operativi, nella cessione di un’importante quota di debiti erariali e previdenziali.
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