E’ morto nell’ospedale Garibaldi di Catania l’avvocato Fabio Ferlito, 55 anni, affetto da Covid-19. Per lui era scattata una grande gara di solidarietà per donare plasma iperimmune per poterlo curare. Tra i primi a presentarsi per la donazione diversi suoi colleghi guariti dalla malattia, anche da pochi giorni, negativi al tampone. Il legale è ricordato dalla Camera penale ‘Serafino Famà’ di Catania che esprime “affetto alla famiglia di Fabio, ad Attilio Indelicato e al suo studio” dicendosi “vicina a loro ed al loro dolore”.
“Fabio era un uomo mite, un ragazzo di ‘cuore’ – si legge in una nota della Camera penale – un amico, con il quale era piacevole intrattenersi cordialmente tra un’aula ed una cancelleria. Rispecchiava educazione vera, respirata anche nello studio al quale apparteneva, con orgoglio. Era un avvocato, non era un eroe. Eppure, come tutti gli avvocati, ogni volta che indossava la sua Toga era segno del quotidiano eroismo che ognuno di noi è chiamato a vivere nella sua giornata, nella nostra professione.
Alta e importante. Il suo cuore – aggiunge la Camera penale di Catania – non ha retto l’assalto della malattia: eppure il suo cuore ha compiuto un vero e proprio “miracolo” di affetto e spontanea amicizia. Alla notizia della sua malattia, alla necessità di cura, il cuore degli avvocati di Catania si è messo in moto ed ha prodotto una spontanea catena di generosità che è diventata notizia, al di là dei confini di Catania.
Gli avvocati sono strani soggetti: competitivi, dialettici, rompiscatole ma ancora una volta, grazie a Fabio, hanno dimostrato di saper essere uniti, di saper guardare oltre, di lottare, insieme, per le cose serie. Con serietà. Alla famiglia di Fabio, ad Attilio Indelicato e al suo studio – conclude la nota – arriveranno i sensi dell’affetto degli avvocati di Catania. Anche la Camera penale Serafino Famà di Catania è vicina a loro ed al loro dolore”.
Il consiglio direttivo della Camera penale di Catania, ‘Serafino Famà’, ha proclamato lo stato di agitazione e l’astensione degli avvocati dalle udienze per otto giorni, dal 27 novembre al 7 dicembre, per “l’aumento dei casi di contagio da Covid-19, soprattutto tra i colleghi che ogni giorno frequentano le aule e gli uffici giudiziari per lavoro e per professione”. I penalisti spiegano che “la ragione burocratica”, con “cancellerie oberate di lavoro e ruoli sovraccarichi di procedimenti calendarizzati, non vale a spiegare le numerose resistenze a comunicare le fasce orarie di trattazione delle udienze da parte di alcuni magistrati, nonostante una direttiva del Presidente del Tribunale ne disciplini criteri, modalità e carattere cogente, d’intesa con l’Ordine degli Avvocati e la Camera Penale”. Direttiva, che si legge nel documento, “rappresenta il minimo inderogabile di misure a tutela della salute di chi opera nella giustizia” e ritenuta “necessaria, se non anche doverosa, al fine di evitare inutili assembramenti, in special modo nel plesso di via Crispi, che mettono a serio rischio la salute di Magistrati, Avvocati, Cancellieri e di tutte le persone che frequentano quotidianamente le aule di Giustizia”.
Per la Camera Penale tutto questo “determina il pericoloso assembramento di decine tra avvocati e imputati, rendendo impossibile preservare le minime condizioni di sicurezza previste dalla normativa vigente a salvaguardia del diritto alla salute”. “Constatiamo e ribadiamo, con amarezza – osserva la Camera penale – che gli avvocati di Catania cominciano a contare, con frequenza crescente, il numero di colleghi che si ammalano di Covid-19. Siamo certi che questo non sia da addebitare in via esclusiva alla frequentazione delle aule di Giustizia e tuttavia constatiamo che ci sono inadempienze – ferme le opportune valutazioni di competenza che il Presidente del Tribunale, siamo certi, intenderà adottare – che denotano la mancanza di rispetto, umano prima che professionale, non soltanto verso la categoria degli avvocati e la Toga che anch’essi indossano, ma anche per la loro salute e quella di tutti gli altri cittadini che, per lavoro o per dovere, sono costretti a recarsi in Tribunale”.
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