Nel 1946 ebbe il via libera dal proprio professore universitario per tornare in Sicilia e votare al referendum ad un patto: avrebbe dovuto scegliere monarchia. Ma non fu così.

E’ la storia di Domenico Spampinato, che solo un anno dopo sarebbe divenuto il più giovane ingegnere d’Italia (si laureò a 23 anni al Politecnico di Torino) ed oggi a 92 anni ammette: “Credo di essere fra i più vecchi, ma ancora la testa mi funziona”. Eccome, diciamo noi.

Quella del catanese Spampinato è una storia comune a tanti ragazzi della sua classe: 1923. Quella generazione cresciuta col mito del Re, della Patria e del Duce e che poi, neanche troppo clamorosamente, scelse di votare Repubblica perché si sentì tradita.

Al Politecnico di Torino, in quella tarda primavera del 1946, c’era un gruppo di studenti catanesi del quarto anno smaniosi ti tornare a casa per il referendum: “Al nostro direttore, un professore di macchina che era un ex generale del Genio navale – ricorda l’ingegnere Spampinato – chiedemmo il permesso di assentarci per andare a votare. Ci disse sì, raccomandandoci però di scegliere la monarchia. Ovviamente disobbedimmo. Almeno io…”.

Su quei ragazzi il fascismo aveva agito in ogni fase dell’educazione: “Avevamo una visione trionfalistica dell’Italia, la convinzione che i nostri capi fossero delle grandi personalità e molti di noi partirono volontari e morirono in guerra. Ma ci avevano traditi!

Quei giovanotti catanesi trapiantati a Torino erano tutti ex allievi della milizia universitaria che avevamo giurato fedeltà al Duce, al Re ed ai suoi successori: “Ma dopo i fatti del ’43 cioè la fuga di Sciaboletta (cioè il sovrano in carica Vittorio Emanuele III fuggito a Pescara ndr) ed il tradimento di Badoglio cambiammo idea. Perché la guerra, oltre che da Mussolini, era stata dichiara dal Re di Italia ed Albania e imperatore d’Etiopia, che non era stato coartato con la pistola da qualcuno. Come Mussolini era convinto che sarebbe finita presto ed era giusto sedere fra i vincitori. Poi,  quando le cose sono andate male, invece di avere il coraggio di accettare onorevolmente una sconfitta, abbiamo poi dichiarato guerra all’ex alleato. Il re doveva restare al Quirinale anche a rischio di farsi arrestare!”.

E allora?

“Beh, osservando queste cose, pensavamo che non era il caso di mantenere una dinastia che aveva dato brutta prova di sé proprio con i fatti del ‘43 e scoprendo anche le magagne del Duce, penso alla storia con Claretta Petacci ed altro, scegliemmo di voltare pagina, quindi Repubblica”.

A Catania, come altre città del Sud, trionfò però la Monarchia…

“Sì ma non ebbe il mio voto ed i miei genitori per questo si arrabbiarono moltissimo”.

Va chiarito che rispetto al Nord, il clima che si viveva alle falde dell’Etna, dove gli Alleati erano sbarcati già tre anni prima e la guerra era finita da tempo, era diverso: “Forse perché non c’era una grande conoscenza e coscienza politica – analizza oggi Spampinato – oppure perché i grandi capi agrari che detenevano il potere dell’informazione erano tutti monarchici o per semplice sentimentalismo, ma Catania scelse in massa la monarchia”.

Dopo il voto furono giorni convulsi. I dati affluivano al Viminale dove sedeva il repubblicano Romita, ma dal ministero dell’Interno trapelava poco o nulla. Inizialmente arrivarono i voti del Sud monarchico e per molti la preoccupazione era tanta.

“Ci fu Pietro Nenni che disse ‘o la Repubblica o il caos’ e per tutti divenne ‘Pietro caos’! – ricostruisce Spampinato – ma Romita organizzò le cose in modo che lo scarto diventò determinante in favore della Repubblica. L’unica cosa di serio che fecero i Savoia, con il Re Umberto, già contrario alla fuga a Pescara, fu il non avere istigato ad un’insurrezione che avrebbe innescato la guerra civile cosa che poteva benissimo accadere”.

E Catania come reagì dopo il risultato favorevole alla Repubblica?

“Il Sud accettò, ma la delusione fu tanta. C’è chi si vide privato della sacra monarchia, perché pensava che il potere regio derivasse direttamente da Dio secondo un concetto medioevale, era quasi un sacrilegio mandare a casa il re…”

E lei, come si comportò?

“Dovevo compiere 22 anni ed ho vissuto la cosa in modo trionfalistico. Del resto l’ideale in cui avevo creduto, per il quale molti di noi giovani erano morti, era stato tradito…però”

Però..

“…se gli Alleati avessero voluto che Casa Savoia restasse, la storia forse sarebbe andata in altro modo…”

LEGGI ANCHE: “L’Italia si è riscattata grazie alla Costituzione”

LEGGI ANCHE: “Io figlio di partigiano voto sì al referendum”

LEGGI ANCHE: La sentinella al seggio del referendum del 1946

Articoli correlati