si era rifiutato di assumere il 'mafioso' nella sua azienda

L’omicidio di Paternò, ucciso per un sgarro alla mafia: picchiato, strangolato e bruciato nei pneumatici (FOTO)

Un omicidio efferato in pieno stile mafioso. Quello utilizzato in passato dai ‘Mappassoti’, i seguaci di Giuseppe Pulvirenti, braccio armato di Nitto Santapaola.

E’ quanto ricostruito dagli investigatori che hanno fatto luce sulla morte di Fortunato ‘Renato’ Caponnetto’ ucciso nelle campagne di Paternò l’8 aprile 2015.

Caponnetto è stato prima picchiato, poi strangolato con il metodo della “garrota”. Il cadavere è stato poi completamente distrutto, bruciato dal rogo alimentato da vecchi pneumatici, secondo il tradizionale modus operandi utilizzato, nel passato, dai Malpassoti.

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Il movente sarebbe da addebitare al fatto che l’imprenditore Caponnetto avesse prima dato e poi negato l’assenso ad assumere Navarria nella propria azienda, preferendogli, poi, un presunto appartenente ad altra organizzazione mafiosa operante nel paternese, licenziato la moglie di quest’ultimo, la cui assunzione gli era stata fittiziamente imposta dallo stesso Navarria tempo prima.

Caponnetto avrebbe anche creato problemi con appartenenti ad un’altra associazione mafiosa, per un debito che un parente della vittima aveva contratto con questi ultimi e di cui Navarria si sarebbe fatto garante.

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Gli arresti traggono origine da un’indagine, denominata “Araba Fenice”, avviata all’indomani della scomparsa di ‘Renato’ Caponnetto, attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e video-riprese.

Indagini che si sono servite anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Carmeci già organico alla frangia di Navarria e presente alle fasi salienti dell’efferato delitto.

Il 23 giugno 2014, Navarria, uomo di fiducia a disposizione del “Malpassotu” veniva scarcerato dopo 26 anni e mezzo di reclusione, essendo stato condannato all’ergastolo (poi ridotto prima a trent’anni e poi, appunto, a ventisei anni e mezzo di reclusione), in via definitiva, per sei omicidi, e si poneva al comando di un “gruppo”, alle dirette dipendenze di Francesco Santapaola, pro-cugino di Nitto, quest’ultimo tratto in arresto dai carabinieri nell’aprile del 2016, nell’ambito dell’indagine Kronos.

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