Assolto con formula piena “perché il fatto non sussiste” l’editore storico del giornale La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo. La sentenza è stata pronunciata questa mattina dalla prima sezione penale del Tribunale di Catania nel processo per concorso esterno celebrato nei confronti proprio dello storico imprenditore ed editore Mario Ciancio Sanfilippo.

La pesante richiesta della procura

Nonostante i tanti passaggi di questi anni la Procura di Catania aveva chiesto una pesante condanna a ben 12 anni di reclusione e la pena accessoria della confisca dei beni che nel frattempo  erano stati dissequestrati e riconsegnati al legittimo proprietario.

Il percorso di sequestro e restituzione

I beni furono dissequestrati dalla Corte d’appello, con sentenza confermata dalla Cassazione del 22 gennaio del 2022. La Corte d’appello di Catania, nel marzo del 2021 aveva disposto il dissequestro di tutti i beni di Mario Ciancio Sanfilippo. Tra le motivazioni dei giudici di secondo grado anche la “mancanza di pericolosità sociale” dell’editore e imprenditore. Secondo la Corte d’appello di Catania il decreto impugnato “va conseguentemente annullato”. Questo perché, hanno scritto i giudici nelle 113 pagine della sentenza motivata, “non può ritenersi provata l’esistenza di alcun attivo e consapevole contributo arrecato da Ciancio Sanfilippo in favore della mafia catanese”.

La consistenza dei beni

I beni dissequestrati hanno un valore stimato in 150 milioni di euro. Tra questi figurano anche le società che controllano il quotidiano La Sicilia e le emittenti televisive Antenna Sicilia e Telecolor. Il sequestro finalizzato alla confisca eseguito il 24 settembre del 2018.

Le richieste delle parti civili

Alle pesanti richieste dell’accusa si erano associate tre delle parti civili costituite nel processo. Sono i fratelli del commissario Beppe Montana, assistiti dall’avvocato Goffredo D’Antona. Figura inoltre l’ordine dei giornalisti di Sicilia, rappresentato dal penalista Dario Pastore. Questi hanno anche chiesto un risarcimento simbolico di un euro ciascuno. E poi figura anche l’associazione Libera, con l’avvocata Enza Rando, che ha chiesto invece 100 mila euro da destinare a interventi socialmente utili. La quarta parte civile ammessa, il Comune di Catania, non era presente in aula.

La fine di un incubo

L’assoluzione con formula piena è la fine di un incubo per Ciancio e per la sua storia e per l’intero mondo imprenditoriale catanese. Il processo, iniziato nel 2017, verteva su presunti rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra etnea. Ipotesi sempre contestata dall’imprenditore e dai suoi legali.

La sentenza non è definitiva ma segna in maniera netta un primo importante passo per la difesa.

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