Nel giorno di Pasqua una donna, nei pressi del Piazzale Asia, attraversava la strada in corrispondenza delle strisce pedonali e inciampava sullo spartitraffico che separa le due corsie del Viale Africa.
Tale spartitraffico, vera e propria insidia, non soltanto non si interrompe in corrispondenza dell’attraversamento pedonale, ma è persino caratterizzato da numerose aiuole poste al suo interno, con siepi e cespugli tali da rendere impossibile giungere alle strisce senza che il pedoni effettui un vero e proprio “salto a ostacoli”.
Ed è proprio nell’oltrepassare tale spartitraffico rialzato e reso ancora più inaccessibile da siepi e cespugli che la signora cadeva rovinosamente in terra, si fratturava la caviglia destra e necessitava di un’intervento d’urgenza ai malleoli.
E’ davvero questo che deve subire un pedone che si attiene scrupolosamente ai dettami del Codice della Strada e delle più comuni regole di prudenza attraversando la strada in corrispondenza delle strisce pedonali? Criteri logici e norme giuridiche sembrerebbero dire di no. Ai sensi dell’art. 40 C.d.s., il comma 11 testualmente afferma che: “Gli attraversamenti pedonali devono essere sempre accessibili anche alle persone non deambulanti su sedie a ruote”.
E ancora, con riferimento alle isole di traffico, il Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice della Strada stabilisce che: “Quando l’isola di traffico venga interessata da un attraversamento pedonale e costituisce zona di rifugio deve essere interrotta per una larghezza pari a quella del passaggio pedonale onde permettere ai pedoni l’attraversamento a raso della pavimentazione stradale”. Prescrizioni queste che il Comune di Catania si è ben guardato dal rispettare.
In una società e in un’epoca in cui non si fa altro che parlare di superamento delle cosiddette barriere architettoniche, questa è la scena che un diversamente abile si trova costretto a vivere in una delle zone più centrali di Catania.
Anche la giurisprudenza parla chiaro in materia di insidie stradali. Con sentenza n. 21328 del luglio ottobre 2010 la Cassazione afferma che: “la presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c. si applica per i danni subiti dagli utenti delle strade tutte le volte in cui sia possibile, da parte dell’ente proprietario, la custodia intesa come potere di fatto o signoria sul bene medesimo.
I criteri di valutazione della cosiddetta custodia, ineriscono alla natura ed alle caratteristiche del bene da custodire, e dunque riguardano l’estensione della strada, la dimensione, i sistemi di sicurezza, di segnalazioni di pericolo funzionali alla sicurezza in particolare dell’utente persona fisica che quotidianamente percorre quel tratto statale.
Alla signora e alle altre vittime delle insidie della strada non resta che agire per il risarcimento del danno. In prima istanza mediante l’invio di una raccomandata a/r di messa in mora indirizzata al Comune di riferimento.
Qualora questa non dovesse sortire l’effetto sperato, recarsi da un legale di fiducia muniti di fotografie e testimoni, per ottenere almeno un ristoro economico delle sofferenze e dei danni patiti.
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