«Antonino Speziale, dopo aver scontato la pena da innocente, sta provando pian piano ad avere una vita normale. Oggi ha 32 anni e già da quando è stato scarcerato sta cercando, a destra e a manca, un lavoro. Il problema è che, sin ora nessuno, dicasi nessuno, lo ha voluto assumere, nemmeno per svolgere i lavori più umili. Il motivo è ben intuibile: in molti, forse per diffidenza, forse per una cultura sbagliata, hanno timore ad assumere un ex detenuto così “noto”, probabilmente per la paura di avere problemi con l’Autorità. Per cui vi è da chiedersi: è allora qual è il senso della rieducazione della pena? Qual è il senso di passare anni in carcere per poi non poter tornare a vivere?». Lo scrive lo Studio Legale Lipera, che difende Speziale, condannato per l’omicidio dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, morto il 2 febbraio 2007 durante gli scontri tra gli ultras del Catania.

Per la morte di Raciti sono stati condannati per omicidio preterintenzionale a 8 anni e 8 mesi Antonino Speziale, all’epoca dei fatti minorenni e che ha finito di scontare la pena il 15 dicembre 2020, e a 11 anni Daniele Micale, 33 anni, che è tornato in semilibertà poco prima di Natale del 2018, dopo avere scontato oltre metà della condanna in carcere a Catania, ed ha un residuo pena di meno di 2 anni.

L’appello dell’avvocato

«In un’Italia dove sono tanti, anzi tantissimi, coloro i quali rifiutano di lavorare per la comodità di un reddito di cittadinanza, chiediamo a chiunque: commerciante, imprenditore, o chiunque sia, di dare alla società l’opportunità di salvare il povero Speziale. Come? Con un lavoro!», scrive l’avvocato Giuseppe Lipera, che ha convocato per domani una conferenza stampa a Catania. «A chiunque cerca personale lavorativo va la nostra preghiera di dargli un’opportunità».

“Io innocente, condannato ingiustamente”

“Mi ricordo tutto di quel giorno. Il passato non lo puoi cancellare, certe cose ti rimangono sulla pelle. Io non ho ucciso Raciti, non ho mai ucciso nessuno. Ho partecipato agli scontri. L’ho sempre detto. Resistenza a pubblico ufficiale l’ho fatta, ma io ho pagato per un omicidio mai commesso”. Lo ha ribadito più volte Speziale una volta tornato in libertà.

Il “fuoco amico” e la richiesta di revisione

In un servizio trasmesso a “Le Iene” il 12 novembre scorso è spuntata fuori l’ipotesi del ‘fuoco amico’, secondo cui Raciti sarebbe stato ferito mortalmente da un Range Rover della polizia. Tesi affrontata anche nei processi e smentita da tre gradi di giudizio.

Due diversi testimoni hanno raccontato questa versione shock. Una donna di 44 anni, interpretata da un attrice, ha detto che aveva partecipato ai funerali di Raciti e in quell’occasione “aveva udito un poliziotto che avvicinandosi a Nazareno Raciti” avrebbe “chiesto scusa al padre dell’ispettore perché la morte del figlio era stata causata dalla manovra errata di un collega”. Ha inoltre aggiunto che “aveva capito che Speziale era stato solo un ‘capro espiatorio’”. L’uomo (di 42 anni) invece ha detto che Nazareno Raciti avrebbe riferito a suo padre di “avere saputo che suo figlio Filippo non era stato ucciso da Speziale, ma da colleghi con un’errata manovra con un’auto di servizio”.

Tesi smentita “in maniera certa e categorica” dal padre e dalla sorella di Filippo Raciti. Entrambi i testimoni sentiti da Ismaele La Vardera de Le Iene sono indagati per diffamazione a mezzo stampa.

“Se nemmeno con la revisione si appurerà la verità, andrò avanti lo stesso a testa alta. Voglio essere reinserito nella società”, ribadì nei mesi scorsi Speziale.

La condanna milionaria

Ben 15 milioni di risarcimento danni alla Presidenza del consiglio dei ministri e al ministero dell’Interno. È quanto prevede la sentenza emessa a maggio dalla terza sezione civile del Tribunale di Catania nei confronti di Antonino Speziale e Daniele Micale, i due ultrà del Calcio Catania condannati per la morte di Raciti. “Fatti – scrive il giudice nella sentenza – che sicuramente hanno leso l’immagine dello Stato come apparato atto a reprimere e prevenire scontri e tafferugli”.