Si dice spesso che i sindaci non parlano. Che non si espongono. Che evitano di scegliere. In un Paese dove la prudenza è scambiata per intelligenza e il silenzio per diplomazia, chi rompe il copione diventa un’anomalia. E forse per questo Francesco Iarrera, sindaco di un piccolo comune siciliano da duemila anime, è diventato un’eccezione virale. Non perché cerca visibilità, ma perché fa ciò che ci si aspetta dai grandi — non dai “grandi” per potere, ma per statura morale.
Ogni suo gesto, ogni parola, ogni post diventa una miccia che accende riflessioni. Ma non perché cerca lo scontro o lo scalpore. Perché scrive. Con occhi che guardano lontano e un cuore che batte vicino. Scrive, come ha fatto parlando delle barche salpate da Genova e Barcellona, dirette verso Gaza. Non si è fermato al gesto umanitario. Ha saputo leggere il segno, ha capito che quelle imbarcazioni non trasportavano solo aiuti, ma coscienze. E coscienze sveglie fanno paura, smuovono, spezzano l’anestesia collettiva.
Scrive: “Era dai tempi della marcia su Montgomery che non si assisteva a una mobilitazione di massa per un tema universale.” Parole che pesano, che scavano. Perché oggi l’universalità è diventata un lusso, una retorica, un’etichetta svuotata. Ma lui la riempie di senso. Parla di Gaza, ma non si rifugia nel tifo ideologico. Denuncia le bombe sugli ospedali, le fucilate sulle file per il riso, le verità scomode che non trovano mai spazio nei talk show del pomeriggio. E lo fa con una limpidezza rara, che non si piega ai partiti, ma si inchina alla realtà.
Iarrera non è solo un sindaco. È un cittadino che si è preso la responsabilità di rappresentare, non di comandare. È uno di quelli che non si barrica dietro gli slogan, ma si sporca le mani con le parole, perché sa che le parole contano. Quando scrive che “la responsabilità è personale”, ci ricorda qualcosa che troppi hanno dimenticato: che la politica non è una zattera su cui galleggiare, ma un peso da portare con dignità.
E mentre il mondo gira distratto, mentre la destra e la sinistra giocano alle ombre cinesi, mentre si litiga su tutto tranne che sulla verità, lui sceglie di stare lì, nel mezzo. Non nel centro politico, ma nel cuore umano. Quello che distingue un uomo da un burocrate. Un primo cittadino da un amministratore. Uno che guarda Gaza e vede persone. Uno che sa che si può dire “no” a Hamas senza dire “no” ai palestinesi. Uno che sa che la compassione non ha bisogno del permesso di un partito.
Davanti a tutto questo, cosa possiamo dire?
Che ci sono ancora sindaci che ci mettono la faccia. Ma anche gli occhi. E il cuore. Cuore ed occhi.
E che forse, nel silenzio assordante del nostro tempo, le parole di un piccolo sindaco siciliano valgono più di mille conferenze stampa.
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