I titoli di giornale delle ultime settimane non lasciano spazio a dubbi: “Nuovi casi di botulismo alimentare in Italia”. Le parole fanno effetto, generano preoccupazione, spingono i consumatori a guardare con sospetto i barattoli nella dispensa. Ma siamo davvero di fronte a un’emergenza sanitaria? E soprattutto, come possiamo proteggerci senza cadere nel panico?
Per fare chiarezza in un panorama dove le notizie si rincorrono spesso senza contestualizzazione, abbiamo interpellato Davide Ciravolo, agronomo e consulente in sicurezza alimentare di Promotergroup S.p.a., Global Service che opera da anni nel settore agroalimentare.
“Iniziamo dai numeri”, ci spiega Ciravolo, “perché sono questi a darci la dimensione reale del fenomeno. In Italia i casi di botulismo sono rari: parliamo di poche decine l’anno. La maggior parte sono legati a conserve domestiche preparate senza le dovute precauzioni”. Una precisazione che ridimensiona l’allarme, ma che non deve farci abbassare la guardia. “Ma c’è una differenza sostanziale tra i prodotti industriali, sicuri perché sottoposti a controlli rigorosi, e le preparazioni casalinghe dove il vero problema nasce quando mancano le corrette pratiche di processo in merito alle temperature raggiunte nel punto più sfavorevole dell’alimento definito come il cuore del prodotto, oltre al altri parametri tecnici come il pH del prodotto, l’acqua libera aW”.
Il Clostridium botulinum, il batterio responsabile della tossina che causa il botulismo, ha delle preferenze molto specifiche. “Si sviluppa in ambienti privi di ossigeno e in condizioni che favoriscono la sua crescita”, spiega l’esperto. “Bassa acidità (quindi un pH elevato), temperature inadeguate: questi sono i suoi habitat preferiti”. Ma quali sono gli alimenti più a rischio?
“Le conserve sott’olio, i sughi, i pesti, le preparazioni casalinghe di carne e pesce non acidificate correttamente, non trattate termicamente in modo idoneo. Il problema è che basta davvero poco per creare le condizioni ideali per il batterio”. E Ciravolo non usa mezzi termini: “Un pH non adeguato, una pastorizzazione/sterilizzazione incompleta, una quantità insufficiente di ingredienti che abbassano il pH, una elevata acqua a disposizione dei patogeni: ecco come il rischio diventa concreto. Non stiamo parlando di procedure complicate, ma di errori che possono costare caro”.
Per le aziende del settore alimentare, il botulismo non rappresenta solo un rischio sanitario, ma anche una minaccia che può mettere in ginocchio un’impresa nel giro di poche ore. “Un singolo caso comporta il ritiro immediato dei prodotti, la segnalazione alle autorità, un danno di immagine difficilmente recuperabile”, avverte l’esperto. “Per queste ragioni, la sicurezza alimentare non può essere vista come un costo, ma come un investimento strategico per la sopravvivenza stessa delle aziende”.
Le normative europee e italiane forniscono un quadro preciso: igiene, tracciabilità, piani HACCP obbligatori. Ma per Ciravolo le regole sulla carta non bastano. “Ogni azienda deve individuare i punti critici del proprio processo, monitorarli costantemente e formare il personale. Una procedura scritta ha senso solo se chi lavora la conosce e la applica davvero, avendo la consapevolezza del livello di rischio corrispondente”.
“La prevenzione è il punto chiave”, insiste l’agronomo: “bisogna garantire acidità corretta, trattamenti termici adeguati e contenitori sanificati”. L’esperto ci ricorda che per quanto riguarda le preparazioni domestiche è possibile consultare le linee guida emanate dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità – “Sono indicazioni semplici, che vanno seguite alla lettera per evitare il rischio”. Il suo appello è duplice: “Non bisogna mai improvvisare con il fai da te, ma allo stesso tempo non bisogna lasciarsi prendere dal panico. La conoscenza è la migliore alleata della sicurezza”.
Inoltre in casi di positività, la velocità di reazione fa la differenza tra un incidente gestibile e una catastrofe. “Le aziende devono avere piani di richiamo immediati, comunicare senza esitazione con le autorità e analizzare le cause di eventuali contaminazioni”, spiega Ciravolo. “Solo così si dimostra serietà e si tutela il consumatore”.
L’innovazione offre strumenti sempre più sofisticati: imballaggi intelligenti, sistemi di alta pressione, tracciabilità digitale. Ma per l’esperto l’elemento umano resta insostituibile. “Nessuna innovazione funziona senza una vera cultura della sicurezza, la formazione continua degli operatori e la responsabilizzazione di tutta la filiera sono fondamentali. La tecnologia può aiutare, ma non può sostituire la consapevolezza”.
Anche noi consumatori abbiamo le nostre responsabilità in merito a tematiche di sicurezza alimentare in modo più trasversale, ad esempio: “conservare i cibi freschi a temperature corrette, non interrompere la catena del freddo, rispettare le scadenze, diffidare di barattoli gonfi o dall’aspetto alterato, non improvvisarci produttori di conserve se non si conoscono i rischi”. “Sono comportamenti semplici ma essenziali”, sottolinea Ciravolo, “chi prepara conserve in casa deve seguire le linee guida ufficiali, che spiegano come usare correttamente aceto, sale, succo di limone, tempi di pastorizzazione e congelamento”. Non si tratta di complicazioni burocratiche, ma di regole di buon senso che fanno la differenza tra un prodotto sicuro e un rischio per la salute.
Il cambiamento climatico, la crescita del consumo di prodotti pronti da mangiare: il panorama della sicurezza alimentare è in continua evoluzione. “Questi fattori renderanno la sicurezza alimentare ancora più delicata per le imprese”, prevede Ciravolo. “Le aziende dovranno investire in innovazione, controlli digitali e formazione, mentre i cittadini dovranno diventare più consapevoli”.
Il botulismo alimentare resta un pericolo raro ma serio. La buona notizia è che conoscenza, prevenzione e responsabilità possono azzerarne quasi completamente l’incidenza. “Niente allarmismi, ma consapevolezza”, conclude Ciravolo. “Solo così proteggiamo la salute dei consumatori e il valore delle nostre imprese”. Un messaggio che suona come un invito alla responsabilità collettiva: informarsi, prevenire, agire con cognizione di causa. Perché la sicurezza alimentare, alla fine, è affare di tutti.






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