Quando l’epidemia del coronavirus è ‘esplosa’ in Cina, sui social media sono comparsi post ironici anche con protagonista la famoda birra messicana Corona, quella che si beve in modalità ‘condita’, con sale e limone. Un esempio:
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Inoltre, per chissà quale meccanismo mentale, una delle parole più ricercate per conoscere quello che sarebbe diventato poche settimane dopo il virus più ‘ansiogeno’ degli ultimi decenni, è stata proprio «corona» ma anche «coronavirus birra Corona», «Virus Birra Corona» e «Beer virus». Come se ci fosse un nesso tra la birra e il virus che da Wuhan ha infettato quasi tutto il mondo, Italia compresa. Tant’è che l’azienda ha dovuto persino diffondere una nota stampa per auspicare che i consumatori capiscano l’assenza di un collegamento. Purtroppo, però, non è stato così.
Bloomberg (il mass media di economia per antonomasia), infatti, ha rimarcato che l’azienda che distribuisce la Corona negli Stati Uniti d’America, la Constellation Brands Inc, ha perso l’8% alla Borsa di New York in questa settimana. Inoltre, secondo un’indagine di YouGov (società britannica che si occupa di ricerche di mercato), il punteggio relativo alla reputazione del marchio corona è sceso da 75 a 51.
Colpa della psicosi? No, colpa soprattutto di un’ignoranza di fondo alimentata dall’assenza della capacità analitica dei fatti. I social media hanno sì incrementato il tasso di diffusione dell’informazione ma anche diminuito il tempo dedicato a una lettura approfondita della notizia, creando danni come quelli che sta avendo il marchio Corona.
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