Dal 2021 sarà ancora più difficile emigrare nel Regno Unito. Dopo la fine della transizione della Brexit, infatti, non sarà possibile andare a lavorare in Gran Bretagna in caso di «bassa qualificazione» e scarsa conoscenza della lingua inglese. E ciò, ovviamente, riguarderà anche i cittadini dell’Unione Europea.

Questo modello è stato annunciato dal governo di Boris Johnson e illustrato da Priti Pratel, ministra dell’Interno.

Nel dettaglio, il visto di lavoro potrà essere concesso soltanto ai richiedenti che abbiano conseguito un minimo di 70 punti. Dieci o venti saranno assegnati solo a chi avrà un’offerta di lavoro da 25mila sterline all’anno in su, ovvero circa 28mila euro, in pratica almeno 2.300 euro al mese; in base a titoli di studio specifici, alla presenza di qualificazioni per settori con carenza occupazionale nel Regno Unito e alla conoscenza della lingua inglese tale da non trovarsi in difficoltà comunicative.

Si tratta del cosiddetto modello ‘australiano’, contestato dalle opposizioni perché scoraggerebbe del tutto l’immigrazione. Il Partito Laburista, ad esempio, ha chiesto di essere flessibili in settori strategici quali la sanità, dove i ruoli infermieristici sono coperti soprattutto da stranieri. Poi, c’è stata anche l’accusa di xenofobia da parte dei Liberaldemocratici.

Questo modello, però, piace alla Confindustria britannica ma non del tutto perché ritiene che ci sia il rischio di reperire con difficoltà la forza lavoro. Come riposta, Pratel ha detto che gli imprenditori potranno avvalersi dei già oltre tre milioni cittadini dell’Unione Europea presenti nell’Isola, su cui non varranno le nuove regole. Infine, le aziende saranno costrette ad «abbandonare la ricerca del lavoro a basso costo» degli immigrati, investendo di più sull’automazione.

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