Fra le tante statistiche redatte quotidianamente e in ogni parte del mondo da quando è scoppiata l’epidemia del Coronavirus, un dato è saltato all’occhio degli esperti: l’esiguo numero di giovani che hanno contratto il virus.

Sembra addirittura, dai dati a disposizione, che fino al 22 gennaio gennaio non siano stati registrati casi di contagio in giovani sotto i 15 anni. Solo da quella data sono state diffuse sporadiche notizie di bambini infettati, la maggior parte dei quali contagiati da parenti stretti, quindi altamente esposti al virus e con quasi nulle possibilità di non contrarlo.

Dal primo caso di contagio conosciuto, risalente al 31 dicembre 2019, è soltanto di ieri la notizia che a Wuhan, in Cina, un neonato di appena 30 ore di vita è risultato positivo al Coronavirus.
Difficile stabilire con certezza se si tratti di un vuoto statistico o se alla base del minor numero di bambini infettati vi siano ragioni scientifiche. Sta di fatto che questa sproporzione ha destato l’attenzione dei ricercatori che si stanno ponendo la seguente domanda: i giovani sono più protetti dal Coronavirus?

Un recente studio pubblicato da Jama – autorevole rivista medica pubblicata dall’American Medical Association – rivela che l’età media dei pazienti contagiati è compresa tra i 49 e i 56 anni. Questo dato, combinato con quello dell’OMS secondo cui l’80% delle morti riguarda persone dai 60 anni in su, non è affatto irrilevante.
Una prima risposta arriva dal virologo Malik Peiris dell’Università di Hong Kong, sviluppatore di un test diagnostico per il Coronavirus. Il medico al New York Times ha parlato di una minor tendenza dei bambini a manifestare i sintomi, benché infettati.

In assenza di prove legate ad una diversa risposta immunitaria a seconda dell’età, l’ipotesi più accreditata resta quella della minor esposizione di un bambino a fonti di contagio.
Sono infatti gli adulti di solito ad affollare i grandi mercati cinesi, come quello di Wuhan che si pensa essere il primo focolaio del Coronavirus. Anche gli accorgimenti e le abitudini dei genitori per preservare i figli dal rischio del contagio potrebbero aver creato uno scudo protettivo e, pertanto, allontanato i bambini dalle situazioni di esposizione al virus.

Sebbene da dimostrare nel caso specifico, non è da escludere che il sistema immunitario dei giovani possa essere più reattivo di quello degli adulti in risposta a certi agenti patogeni.
Un precedente non troppo lontano riguarda l’epidemia di SARS che nel biennio 2002-2003 infettò oltre ottomila persone di cui soltanto 80 – tra i casi certificati – furono bambini. In quell’occasione le vittime certificate furono 774 ma nessun bambino morì.

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