Ho camminato sulla Terra dei fuochi con mio fratello Ambrogio al fianco di Gigi D’Alessio.

Ho ascoltato chi voleva convincermi che la gente di quelle parti muore per uno stile di vita sbagliato, o chi mi raccontava che l’irto sentiero della scienza non aveva dimostrato la relazione tra i veleni e la gente che muore.
Ho conosciuto la Terra dei fuochi dalle parole cariche di rabbia di Don Patriciello e dal racconto dolente di Sandro Ruotolo.
Ho visto puntare l’indice su Gigi D’Alessio, perchè con “Malaterra” la canzone dedicata proprio alla Terra dei fuochi avrebbe messo in cattiva luce l’immagine della regione.

Ho sentito il fiato spezzato dentro il mio petto nell’ascoltare quelle madri a cui sono stati stappati i figli senza mai un colpevole.

Oggi chiunque neghi la correlazione tra veleni e queste morti è responsabile quanto e forse più di chi ha avvelenato quelle terre.

Ogni qualvolta proponevo questo tema mi sono sentito rispondere che la Terra dei fuochi non fa ascolto e che Santoro e Ruotolo erano “fissati.” Meglio quindi andare in onda con la sequenza della cronaca che ha ormai ridotto l’audience a quella di un videocitofono. È il conformismo del politicamente corretto, dell’asservimento allo scandalo di giornata, all’indignazione da bar.

La fiction di Raiuno “Io non mi arrendo” ha il merito di avere riempito i palinsesti televisivi di “Terra dei fuochi”, finita nella potente macchina promozionale della Rai e anche se non si sottrae alle logiche del melò che bagna i fazzoletti ma atrofizza i cervelli, ha riportato per un paio di sere in alto quello che era un tema bandito dai palinsesti.

Quello che è veramente inaccettabile è che dalla miniserie escano delle accuse che non possono restare impigliate nella finzione televisiva. La fiction racconta di magistrati, politici che sapevano e hanno taciuto , “Il presidente della regione, l’assessore… Sanno tutto e insabbiano…” Parole pesanti, come pesanti vengono rappresentate le connivenze, le complicità.

La Terra dei fuochi non è una fiction e Roberto Mancini è morto davvero. Fuori dalla sceneggiatura, finita la promozione e le prestigiose comparsate SI FACCIANO I NOMI, si dica chi era il presidente della Regione in carica quando Mancini indagava, chi erano i politici, i magistrati che dirigevano gli uffici inquirenti, chi ha collaborato con Mancini, chi ha tentato di fermarlo. Chi ha girato la testa dall’altra parte ora deve parlare, perché non tutti sono uguali, nelle istituzioni, nella politica, tra i magistrati non tutti sono conniventi.

Dobbiamo separare la parte buona da quella malata e chi ha fatto così tanto male non può passarla liscia e non dobbiamo aspettare il prossimo morto o la prossima fiction. La magistratura deve fare giustizia. La politica deve rompere gli indugi e impedire che una sola persona possa ancora ammalarsi, iniziare le bonifiche e spegnere i fuochi. Solo così la morte Roberto Mancini, non sarà stata inutile a meno che pensiate che basti una fiction per pagare il conto con la vita.

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