Schizzi di petrolio sul governo. A due settimane dal voto referendario sulle trivellazioni scoppia la grana potentina che ha portato, l’ex ministro Federica Guidi a rassegnare le dimissioni.
Una decisione liquidata in poche ore (dopo le notizie che giungevano dalla Basilicata sul coinvolgimento del suo fidanzato nell’inchiesta della procura di Potenza e soprattutto a causa della famosa intercettazione sull’emendamento) che tuttavia non ha stoppato le polemiche deflagrate soprattutto in rete.
#Guidi, in pochissimo tempo, è divenuto un trend topic in cui moralizzatori 2.0, leoni da tastiera e bacchettatori del web si sono scatenati abbandonandosi a critiche severissime.
Ci sta, del resto siamo nell’era dei social network e fra quelli che hanno edificato una reputazione politica (anche) attraverso 140 caratteri c’è proprio il presidente del Consiglio, capace con ogni cinguettio rottamatore di sconfinare il territorio fiorentino trovando follower nel resto dello Stivale fino ad incrinare la tenuta del governo precedente, leggi #enricostaisereno.
Di solito le tenzoni su fb e su twitter si esauriscono nel giro di pochi giorni ed anche certi appelli che collezionano like e cuoricini e che sembrano destinati a passare alla storia rimangono poi seppelliti dai post successivi.
Eppure il caso Guidi deflagra a poche settimane dal referendum che chiama gli italiani a pronunciarsi proprio su questioni petrolifere. Una consultazione finora sconosciuta ai più, come ha dimostrato il sondaggio di Demopolis di cui abbiamo scritto ieri, e che rischia di diventare un terreno scivolosissimo proprio dopo i fatti ribalzati da Potenza.
L’ex ministro ha fatto bene a rimettere il mandato: è un gesto che le fa onore, ma che consente al governo di evitare la proroga della polemica mentre la scadenza referendaria si avvicina.
La palla, quindi, è nel campo dei twittatori, commentatori, blogger, web-predicatori e social-moralisti, tutti italiani, che hanno la possibilità di andare oltre la rete lasciando la tastiera e prendendo la matita: il prossimo 17 aprile vadano a votare. Si prendano la responsabilità di scegliere, in tutta coscienza e ciascuno secondo la propria opinione, cosa ritengono giusto su una questione divenuta clamorosamente attuale.
Le urne, che ad oggi sono l’unico strumento democratico, diranno chi ha ragione e comunque, se ci sarà partecipazione, dimostreranno che oltre ai tweet indemoniati o ai predicozzi 2.0 c’è vita vera e democratica.
Il resto, facciamocene una ragione, sono solo file che si ammassano polemica dopo polemica e finiscono in coda alle nostre bacheche virtuali e sui server di chissà quale paese della provincia americana.
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