Potrebbe avere delle conseguenze ‘rivoluzionarie’ la sentenza emessa nei giorni scorsi dal Tribunale civile di Roma in una controversia sulla tutela della privacy.

La vicenda riguardava un professionista e l’Autorità nazionale anticorruzione che ha pubblicato sul proprio sito il nome di un soggetto a cui aveva rifiutato, per mancato rispetto del vincolo della esclusività, il nulla osta per essere individuato come componente di un organismo indipendente di valutazione.

Scrive, infatti, il giudice della prima sezione civile del Tribunale di Roma: “la diffusione dei dati personali – si legge nella sentenza – è giustificata solo ove necessaria e proporzionata alla finalità di trasparenza perseguita nel caso concreto  (cd. principio di pertinenza e non eccedenza di cui all’art. 11, comma 1, lett. d, del Codice), per cui i dati personali che esulano da tale finalità non devono essere inseriti negli atti e nei documenti oggetto di pubblicazione online. In difetto, il rimedio da adottare sarà quello dell’oscuramento delle informazioni che risultano eccedenti o non pertinenti (cfr. art.2 delle Linee guida cit.)”.

In pratica, secondo quanto stabilito nella sentenza, le pubbliche amministrazioni devono limitarsi a pubblicare i dati personali strettamente necessari, sulla base del principio della pertinenza e  nel caso in cui pubblicano dati ulteriori, devono oscurare a proprie spese ed a proprio carico tali informazioni.

Va specificato, tuttavia, che il risarcimento del danno non è automatico, ma viene concesso a seguito della sua dimostrazione. Perché, specifica la sentenza, “il pregiudizio (morale e/o patrimoniale) deve essere provato secondo le regole ordinarie, trattandosi di un danno-conseguenza e non di un danno-evento, senza che rilevi in senso contrario il suo eventuale inquadramento quale pregiudizio non patrimoniale da lesione di diritti costituzionalmente garantiti”.

La sentenza, esaminando il caso specifico, ha stabilto che “la diffusione delle generalità dell’attore all’interno della delibera che decretava la sua inidoneità rispetto all’incarico domandato era non necessaria e, dunque, deve ritenersi illegittimamente effettuata. Oltretutto, visto il lasso temporale trascorso dalla pubblicazione, la diffusione del dato, ormai, non è nemmeno più proporzionata allo scopo di trasparenza perseguito”.  Sono molto nette le differenze con i vincoli di pubblicazione dettati per “i componenti di una commissione istituzionale con tutte le ulteriori informazioni connesse ai singoli soggetti ed allo svolgimento dell’incarico dirigenziale –curriculum, compenso, etc.”.

Nel caso di componente di una commissione istituzionale, il vincolo della pubblicazione “soddisfa il requisito della trasparenza dell’attività amministrativa, analoga esigenza non si ravvisa nel caso in cui si tratti di diffusione di dati di soggetti che non  andranno a ricoprire alcun incarico pubblico, non essendovi alcun interesse della collettività meritevole di tutela rispetto alla conoscenza dei nominativi di meri candidati che, all’esito del parere sfavorevole, non vengano considerati idonei”.