Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha accolto il ricorso della Federazione Associazioni Ricettività Extralberghiera, annullando la circolare del Ministero dell’Interno del 18 novembre 2024 che imponeva l’obbligo di identificare “de visu” gli ospiti delle strutture ricettive e delle locazioni brevi.
Il contesto della circolare del Viminale
La circolare del Ministero dell’Interno, emanata il 18 novembre 2024, stabiliva che i gestori di strutture ricettive e locazioni brevi dovessero identificare gli ospiti di persona, vietando strumenti tecnologici come il self check-in e le keybox. L’obiettivo dichiarato era rafforzare la sicurezza pubblica, in particolare in vista del Giubileo 2025 e di un contesto internazionale ritenuto complesso. Tuttavia, il TAR del Lazio ha ritenuto il provvedimento “immotivato” e in contrasto con la normativa vigente, aprendo la strada a un dibattito sull’equilibrio tra sicurezza e innovazione tecnologica.
Le motivazioni del TAR: un provvedimento “viziato”
La sentenza della Sezione Prima Ter del TAR del Lazio, depositata il 27 maggio, smonta la circolare su più fronti. In primo luogo, i giudici hanno evidenziato che l’obbligo di identificazione “de visu” è in contrasto con l’articolo 109 del TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza), che non prevede tale requisito. Inoltre, il provvedimento viola il principio di proporzionalità, poiché non dimostra che l’identificazione di persona sia necessaria per garantire la sicurezza pubblica. “L’identificazione de visu non risulta di per sé in grado di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica cui mira esplicitamente la circolare”, si legge nella sentenza, che aggiunge: “Non è specificato per quale ragione strumenti diversi, ad esempio la verifica dell’identità da remoto, non siano sufficienti a raggiungere il medesimo obiettivo con minor pregiudizio sui destinatari dell’atto impugnato”.
Un impatto oltre la sicurezza
Il TAR ha anche criticato la mancanza di un’adeguata istruttoria da parte del Ministero dell’Interno. La circolare faceva riferimento all’aumento delle locazioni brevi e al Giubileo 2025, ma “tali affermazioni non sono supportate da alcun dato, necessario proprio a dimostrare la proporzionalità della misura adottata”. Questo aspetto è essenziale, poiché il provvedimento non solo reintroduceva oneri amministrativi eliminati dal decreto legge 201/2011, ma rischiava di penalizzare un settore che, secondo i dati di Aigab, genera oltre 3,5 miliardi di euro di giro d’affari e occupa più di 30.000 addetti in Italia.
Un precedente per altre città
La sentenza del TAR del Lazio non ha effetto diretto su altre città, ma rappresenta un precedente significativo per i Comuni che hanno introdotto normative simili, come Bologna, Roma, Venezia e Sirmione. La decisione si affianca a quella del Consiglio di Stato (sentenza n. 2928/2025) che ha bocciato il regolamento di Sirmione, stabilendo che i Comuni non possono limitare la libertà contrattuale dei proprietari per le locazioni turistiche non imprenditoriali. Questo doppio colpo giudiziario potrebbe spingere le amministrazioni locali a rivedere le loro strategie, in attesa di un’eventuale pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge regionale toscana n. 61/2024, impugnata dal governo per presunta incostituzionalità.
Il futuro della regolamentazione
Il dibattito sugli affitti brevi è destinato a proseguire. Da un lato, i Comuni cercano di contrastare l’overtourism e l’impatto delle locazioni turistiche sulla vivibilità dei centri storici. Dall’altro, i gestori e i proprietari chiedono normative equilibrate che non penalizzino un settore economico fondamentale. La sentenza del TAR invita a un ripensamento delle regole, suggerendo che le tecnologie di identificazione da remoto possano essere sufficienti per garantire la sicurezza senza imporre oneri inutili.
Verso una normativa nazionale?
La sentenza del TAR evidenzia l’assenza di una normativa nazionale chiara sugli affitti brevi. Mentre alcune regioni, come la Toscana, hanno introdotto regolamenti locali, la competenza primaria rimane dello Stato. La proposta di una legge quadro nazionale, avanzata da Federalberghi, potrebbe rappresentare una soluzione, dando ai sindaci poteri specifici per regolamentare il fenomeno senza violare i principi di proporzionalità e libertà contrattuale. Nel frattempo, i gestori si preparano a nuovi ricorsi, mentre i Comuni dovranno adattarsi a un panorama giuridico in continua evoluzione.






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