Palermo ricorda il maresciallo dei carabinieri Vito Ievolella ucciso dalla mafia 42 anni fa in piazza Principe Camporeale.

Alle 9.30, sul luogo dell’omicidio è stata deposta una corona d’alloro sulla lapide dedicata al militare, alla presenza della figlia della vittima, la docente Lucia Assunta Ievolella, il generale di divisione Giuseppe Spina, comandante della legione carabinieri Sicilia, del sindaco, Roberto Lagalla e il vice prefetto Vicario, Anna Aurora Colosimo.

Il maresciallo maggiore Vito Ievolella nacque a Benevento il 4 dicembre 1929.  Il 10 settembre 1981, Ievolella, a bordo della propria autovettura Fiat 128 con la moglie Iolanda, nell’attesa della figlia Lucia, impegnata in una lezione di scuola guida, venne freddato da sicari di Cosa Nostra in piazza Principe di Camporeale, a Palermo.

All’agguato parteciparono quattro killer, armati di pistole calibro 7,65 e fucili caricati a pallettoni, che, appena scesi da una Fiat Ritmo rubata, fecero fuoco in direzione del maresciallo. La moglie riportò una leggera ferita alla regione sopraccigliare destra. Il mezzo usato dai killer fu dato alle fiamme e poi abbandonato in via Caruso, dove fu ritrovato dai carabinieri. Fu chiaro immediatamente che l’assassinio di Ievolella era da inquadrare in un programma mafioso teso all’eliminazione di quanti si opponessero all’espansione degli interessi criminali.

Ievolella era molto noto negli ambienti investigativi dell’Arma e tra i magistrati per le sue capacità professionali, per l’impegno investigativo e per la determinazione nel fare luce, tanto sul delitto comune, quanto su quello mafioso. Il valore e l’impegno nell’attività investigativa, gli erano valsi sette encomi solenni e quattordici lettere di apprezzamento del comandante generale dell’Arma. Da parte della stampa, aveva ricevuto appellativi come “segugio temuto dai boss” e “specialista in casi difficili”.

Al maresciallo Ievolella, il Capo dello Stato ha concesso la Medaglia d’Oro al Valore Civile con la seguente motivazione: “Addetto a Nucleo Operativo di Gruppo, pur consapevole dei rischi a cui si esponeva, si impegnava con infaticabile slancio ed assoluta dedizione al dovere in prolungate e difficili indagini – rese ancora più ardue dall’ambiente caratterizzato da tradizionale omertà – che portavano all’arresto di numerosi e pericolosi aderenti ad organizzazioni mafiose. Proditoriamente fatto segno a colpi d’arma da fuoco in un vile agguato tesogli da quattro malfattori, immolava la vita ai più nobili ideali di giustizia e di grande eroismo”.