Dalla lavorazione di monili in metallo e argento all’altissima gioielleria: l’orafo Gaetano Chiavetta lascia Palermo dieci anni fa per trasferirsi a Londra e viene subito assunto da Bentley&Skinner e Tiffany (che però rifiuta), oggi ha un suo marchio e crea gioielli di altissimo pregio; insomma è il caso di citare il detto latino “Audentes fortuna iuvat” (la fortuna premia gli audaci).
Ma Chiavetta, a Palermo conosciuto come Tano Spitfire, non è stato solo fortunato, la sua è bravura pura mista a voglia di essere diventato un numero uno – si sgancia infatti da Bentley&Skinner dopo tre anni e addirittura, dopo vari colloqui dice di no a Tiffany facendosi assumere (per lo stesso compenso ma lavorando con pezzi propri) da Antique jewel&gem company e oggi finalmente ha creato un proprio brand, con gioielli che i sono conosciuti e riconoscibili grazie a un tratto distintivo che non ammette sbavature.
Dice l’artista :”I mie lavori parlano d’amore, un amore epico, sacro e dissacrante. Le forme prendono spunto dalle offerte votive nella loro drammaticità e dalla gioielleria eduardiana e vittoriana nei colori e nei temi. Ai cuori fiammeggianti accosto i teschi ispiranti alla gioielleria memento mori e qualche elemento che sdrammatizza il pezzo; Londra – prosegue – e’ una città dalla forte connotazione gotica, buia, ma io resto un Italiano, o meglio un Palermitano e non riesco a prescindere da una certa irriverenza. il messaggio che voglio far passare è di godere appieno dell’esistenza, con una buona dose di ironia. Alla caducità’ della vita rispondo con gioielli importanti, generalmente di grandi dimensioni, che si impongono alla vista e che non si fanno dimenticare”.

Ripercorriamo la storia di questo ragazzo palermitano che negli anni Novanta aveva una bottega in via Bara all’Olivella e oggi nel suo curriculum, fatto solo di successi, ha ricevuto (per dirne una) dal direttore artistico di Bentley&Skinner stellari commissioni: due api in oro, una libellula in oro e zaffiri, un galeone in oro e un opale di circa 13 Kt. Pochi pezzi che per certi aspetti sono diventati iconici: una delle sue api e’ presente su un tessuto in pura seta del famoso stilista Paul Smith, utilizzato per creare una collezione in tiratura limitata di camicie, abiti da donna a foulard; il galeone e’ stato esposto per anni nella vetrina principale e gli ha procurato numerosi clienti che lo conoscevano proprio come il creatore del “famoso galeone”; e la libellula ha preso il volo tanti anni fa, acquistata da un cliente quasi subito per svariate migliaia di pounds (tutti i pezzi che ha creato hanno prezzi molto elevati).

“Erano gli anni ’90 – racconta Gaetano – e insieme a Laura Plaja abbiamo aperto uno studio-negozio in via bara all’Olivella ispirati e in qualche modo incoraggiati da Mimmo Cuticchio in occasione della sua prima macchina dei sogni proprio in quella strada e supportati dal progetto Urban che ci concesse un piccolo finanziamento.
Allora lavoravamo prevalentemente l’argento e utilizzavamo tecniche da banco per la lavorazione a mano” .

Gaetano Chiavetta ha sempre amato lavorare con le mani, creare le cose dal nulla o quasi, come quando da bambino fabbricava da solo i suoi soldatini di piombo e la gioielleria lo aveva sempre affascinato. “Cominciare a crearla e’ avvenuto quasi per caso: sono partito da materiali poverissimi, con cui ho creato dei pezzi che ho consegnato ad un’amica e che lei ha venduto subito. Non potevo crederci: avevo già creato un business rudimentale facendo qualcosa che mi divertiva fare, che aveva prodotto un guadagno per me ed un’altra persona. Ecco: e’ cominciato tutto così…”..

In quegli anni l’artista parte per Londra (2009), il motivo? “e’ semplice: “da quel 1992 avevo fatto tanti passi avanti, ero cresciuto come gioielliere ma non l’atmosfera intorno a me. L’argenteria l’avevo esplorata in lungo in largo, avevo lavorato con pietre diverse, semipreziosi, ma mi mancava tutto un altro mondo: l’alta gioielleria, la gioielleria fine fatta di materiali nobili, non solo oro, ma soprattutto platino e poi la possibilità di lavorare con preziosi veri e di grossa caratura. Sono partito perché saturo di monili contemporanei in argento e di design che avevano cominciato a sembrarmi giochi da ragazzi. E poi io ho sempre avuto il pallino del “pezzo unico”.

A Londra inizialmente fa una vita difficile, però non gli mancano determinazione, creatività e faccia tosta, caratteristiche che inevitabilmente lo avvicinano a diventare famoso. Così comincia a inoltrare curriculum alle gioiellerie più importanti della city, viene subito adocchiato e assunto.

Certo, ammette Spitfire :”a Londra non c’erano le arancine e il caffè era una schifezza, ma avevo la sensazione di aver fatto la cosa giusta, di essere dove dovevo essere. Sono un tipo dinamico, spesso faccio le cose ancor prima di averle pensate nei dettagli e la velocità di Londra, la possibilità di fare che questa città ti da’, mi sono sicuramente più affini del ritmo lento e per molti aspetti ostacolante di Palermo.
L’alta competenza di cui accenni nella domanda comunque ai tempi del mio trasferimento francamente non c’era: c’era, come ho detto, tanta esperienza con l’argento, c’era stata tanta sperimentazione, ma la gioielleria cui mi iniziò Bentley&Skinner era qualcosa che a Palermo non avevo mai conosciuto, e non dico nel mio workshop, ma da nessuna parte. Le gioiellerie del centro di Londra – prosegue il noto gioielliere – espongono pezzi che a Palermo non si vedono più da cento anni e chissà se si vedranno mai più. Parlo di pezzi di Verdura, Castellani , Giuliano, Lalique, Faberge’…roba da sogno per un qualunque gioielliere di qualunque parte del mondo. Palermo non mi ha negato nulla e anzi sento di aver avuto presto dei riconoscimenti da parte di clienti che nel microcosmo palermitano erano in qualche modo i “Vip”: ho diversi estimatori a Palermo che scherzosamente ora si vantano del fatto di avermi dato credibilità fin dall’inizio; Il fatto e’ che io volevo avere successo e per crearmelo dovevo andare via per forza”.

All’inizio restaura gioielli, cosa che gli torna incredibilmente utile: “tu pensa a trovarti in mano il pezzo di un grande maestro della gioielleria per aggiustarlo e’ un opportunità per osservarlo in ogni minimo dettaglio e di entrare nella testa di chi lo ha concepito, progettato ed eseguito. Dal restauro – prosegue – ho imparato tantissimo…”

L’esperienza da Bentley&Skinner e’ fondamentale si diceva, ma Gaetano resta un ribelle e l’ambiente ingessato di quell’ elegantissimo posto comincia a stargli stretto, si licenzia rifiuta Tiffany e lavora per una compagnia molto più piccola, ma per certi aspetti altrettanto soddisfacente (Antique jewel&gem company) che diventa il suo trampolino di lancio verso quello che avrebbe fatto dopo. “Essendo diventato abile e soprattutto veloce nei miei restauri, ho avuto la pazienza e il tempo di capire come funzionava una piccola compagnia di successo. Il mio capo era un multimilionario geniale che si era fatto dal nulla, che era un maestro nel businnes ed una delle persone più intelligenti che avevo conosciuto. Sono rimasto lì quasi tre anni. Tre anni avevo lavorato anche da Bentley & Skinner. Poi ho deciso che era il momento di prendere davvero il volo”.

L’esperienza e’ proseguita prendendo il coraggio a quattro mani e decidendo di mettersi in proprio. Negli anni era riuscito a farsi conoscere e percepiva un certo interesse intorno a lui. Così legge di una compagnia che finanziava piccole e medie start up e comincia a fare un business plan nei pochi ritagli di tempo. Il business plan viene approvato, la sua idea considerata coerente e nel giro di pochi mesi riceve una piccola cifra che gli consente di licenziarsi, affittare un banco nel distretto dei diamanti e cominciare a lavorare come libero professionista.
“ All’inizio producevo soprattutto pezzi commissionati da privati e venditori. Un giorno però, proprio Bentley&Skinner gli propose di esporre dei pezzi per una mostra organizzata da loro. Quella fu l’occasione per cominciare a pensare a dei pezzi che fossero davvero suoi e questo lo “costrinse” a cercare la sua poetica.
Prosegue Chiavetta :”Non fu un momento facile perchè lavoravo già tantissimo per i miei clienti e spesso dopo le mie canoniche otto ore, rimanevo in laboratorio a progettare e sperimentare, alla ricerca di quelli che poi sono diventati alcuni dei miei pezzi distintivi.
In 3/4 mesi feci una piccola produzione di pezzi originali e di qualche riproduzione che richiedeva una manifattura elaborata e, supportato economicamente da Bentley&Skinner, ho creato preziosi che furono inizialmente esposti alla mostra e poi acquistati dalla stessa gioielleria e inseriti nel catalogo ufficiale con la mia firma. Fu un progetto estremamente faticoso per me che mi diede i suoi frutti in termini di pubblicità” .

Sono passati dieci anni da quando Gaetano Chiavetta ha lasciato il capoluogo siciliano,così dopo un anno da libero professionista, insieme a Liliana Scuderi a un a Limited o LTD il corrispettivo della srl in italia; uno studio tutto nello stabile più elegante del distretto dei diamanti e trasforma il suo nome in un brand.
“Negli ultimi due anni ricevo un numero impressionante di mail e telefonate non solo da persone a me vicine o che conosco personalmente, ma anche da tanti giovani e meno giovani che mi trovano su internet e mi chiedono un consiglio e se valga la pena spostarsi a Londra. A me piace incoraggiare le persone perché è’ nella mia indole essere possibilista, tuttavia devo fare presente che Londra non e’ più l’Eldorado (semmai lo e’ stato) e con mezza Europa (e mezzo mondo) in crisi, ogni giorno migliaia di persone arrivano qui con titoli, esperienze e curriculum ben nutriti. La competizione e’ altissima e in una delle città più care del pianeta, che va velocissima, non bastano neanche titoli e l’esperienza lavorativa, ma servono un gran coraggio e tanta forza d’animo.
Quello che consiglio davvero e’ studiare il più possibile, diventare impeccabili nelle tecniche e poi imparare l’inglese che in ogni caso di permette di poter creare contatti nel mondo”.
Chiavetta vive nel Regno Unito, ma i suoi clienti sono soprattutto negli Stati Uniti, concentrati tra New York, Los Angeles e Washington, “ma noi vendiamo anche in Svizzera, Brasile, Hong Kong…questo per dire che ormai grazie ad Internet non e’ sempre necessario essere in un certo luogo per vendere a livello internazionale. Certo, Londra e’ una meta frequente per i miei clienti, che alle volte dopo aver acquistato vogliono venire a trovarci e vedere dove lavoriamo e in quale atmosfera nascono i miei gioielli.
Per quanto riguarda la storia dei raccomandati che vanno avanti, c’e’ da dire che l’Italia vessa in una grave crisi economica e da più di un decennio, a costo di sembrare cinico, se vuoi vendere la gioielleria, devi seguire i soldi”.