Il gup di Palermo Ivana Vassallo ha condannato 8 imputati e ne ha assolti due coinvolti nel blitz della fine di gennaio del 2023 con cui erano stati indagati boss e gregari della cosca delle Rocca e di Mezzomonreale.

I condannati, 20 anni a Pietro Badagliacca

Le indagini sono state condotte dai carabinieri coordinati dalla procura. A 20 anni di carcere è stato condannato Pietro Badagliacca, 17 anni un mese e 10 giorni a Gioacchino Badagliacca, 16 anni 5 mesi e 10 giorni ad Angelo Badagliacca, 8 anni Antonino Anello, 8 anni 3 mesi e 16 giorni a Giovanni Cancemi, 3 anni e 4 mesi ad Angelo Lazzara, 8 anni a Michele Saitta e 8 anni a Pasquale Saitta.

Gli assolti

Sono stati invece assolti Marco Zappulla e Silvestre Maniscalco entrambi difesi dall’avvocato Rosanna Vella.

Le parti civili

Nel processo si sono costituiti parte civile il Comune di Palermo, avvocato Ettore Barcellona, il Centro Pio La Torre, avvocato Francesco Cutraro, Solidaria, Sos Impresa, Fai, Rete per la legalità, Sportello di solidarietà Confcommercio e Confersercenti, rappresentanti tra gli altri dagli avvocati Fabio Lanfranca, Valerio D’Antoni, Ugo Forello, Fausto Maria Amato e Maria Luisa Martorana, che gli imputati dovranno risarcire.

L’operazione

L’operazione antimafia risale, come già accennato, a fine gennaio. I carabinieri del Nucleo investigativo del reparto operativo del comando provinciale di Piazza Verdi hanno eseguito 7 provvedimenti cautelari – 5 in carcere e 2 ai domiciliari – nel mandamento di Pagliarelli e più precisamente della famiglia di Rocca-Mezzomorreale.

Il provvedimento è stato disposto dal gip di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano e sono stati eseguiti tra Palermo, Riesi e Rimini. Gli indagati sono accusati di di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, consumate e tentate, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività mafiosa e di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.

Le indagini

L’indagine conferma le storiche figure di vertice del mandamento già in passato protagoniste di episodi rilevantissimi per la vita dell’associazione mafiosa, quali, ad esempio, la gestione operativa della trasferta in Francia del capomafia deceduto Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l’allora capomafia trapanese latitante Matteo Messina Denaro. Ma gli investigatori dell’Arma – coordinati dai pm della Dda guidati dal procuratore Maurizio De Lucia – hanno scoperto l’esistenza di uomini d’onore «riservati», rimasti ad oggi del tutto estranei alle cronache giudiziarie, “i quali godrebbero di una speciale tutela e verrebbero chiamati in causa soltanto in momenti di particolare criticità”.

Le intercettazioni

Grazie alle intercettazioni e ai pedinamenti i militari hanno anche ascoltato una riunione della famiglia tenutasi nelle campagne di Caltanissetta – durante la quali gli indagati hanno fatto più volte fatto riferimento allo “statuto” delle regole di cosa nostra, un vero e proprio “codice”: in quel contesto si è registrato il costante richiamo degli indagati al rispetto di regole e dei principi mafiosi più arcaici che – compendiati in un vero e proprio statuto scritto dai padri costituenti – sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa di Cosa nostra.

Nell’ambito della conversazione captata, definita dallo stesso gip. “di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria”, si è più volte fatto esplicito richiamo all’esistenza del “codice mafioso scritto”, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di cosa nostra palermitanaI carabinieri hanno sventato un omicidio nei confronti di un architetto e numerose estorsioni e richieste di pizzo, uno dei quali effettuata mediamente una bambola con un proiettile in fronte.