Ce lo chiede l’Europa, così una buona metà della classe politica italiana è pronta a mandare al patibolo migliaia di aziende del settore balneare. Le spiagge “libere” ce le chiede l’Europa, in  nome di una liberalizzazione più selvaggia che selvaggia non si può. Appare in filigrana un’incomprensibile voglia di aprire il mercato delle spiagge italiane a grandi gruppi multinazionali, a brand prestigiosi, che potranno insediarsi sulla sabbia o sulla roccia, prendendo il posto di migliaia di operatori e aziende a conduzione familiare, che quei siti hanno curato e preservato, anche dal punto di vista ambientale.

Spiagge, il rischio di infiltrazioni criminali?

Sullo sfondo, poi, rimane il non detto, l’indicibile. Possibile che in una terra segnata dal sangue dei martiri della lotta alla mafia, nessuno abbia riflettuto sulla possibilità che le concessioni balneari trasformate in business miliardario possano diventare una golosa preda per speculatori e fiancheggiatori dei sistemi criminali? E’ gia accaduto in passato con il settore della Grande distribuzione, anche in quel caso, in nome della liberalizzazione del mercato.

Con il cuore in gola in attesa di una legge, di un segnale politico, di uno spiraglio per salvare le proprie aziende, da oltre 13 anni vivono così gli operatori del settore balneare, con ogni fine d’anno che non porta in dono nuovi sogni o progetti ma l’incubo di dover sbaraccare tutto e rimettere tutto in mano a delle gare d’appalto che non  terranno in alcun conto la storia imprenditoriale, il valore dei marchi, l’avviamento delle imprese.

Bolkenstein e spiagge italiane, rinviato all’anno prossimo

Anche per quest’anno, la decisione è rinviata all’anno prossimo. Il governo nazionale –  con un atto di indirizzo –  sposta di 12 mesi l’avvio delle gare. Non è un atto con forza di legge, ma un consiglio agli enti decisori, comuni e regioni.  E quel consiglio lo seguiranno tutti. Per non rischiare quella montagna di ricorsi e battaglie legali che gli operatori del settore annunciano. Anche la Regione siciliana si è adeguata tempestivamente a quell’atto e ha così differito, per decreto,  la scadenza delle concessioni balneari al 31 dicembre 2024 dell’anno prossimo.

Per il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, quel decreto serve a dare «continuità alla gestione delle concessioni e certezze agli operatori  in una fase di transizione in cui a livello statale devono essere emanate le indicazioni per procedere alle gare per l’assegnazione delle aree demaniali. È un passaggio fondamentale nei confronti di un settore importante e trainante della nostra economia..».

Ancora più in là si spinge l’assessora Elena Pagana, che lascia intravedere « un ulteriore slittamento alla fine del 2025, nel caso in cui non fosse ancora possibile bandire le gare..».

 

Bolkenstein, 14 anni di battaglie legali sulle spiagge

Il ‘terremoto’  che ha sconquassato la storia delle concessioni balneari era arrivato con la direttiva europea Bolkestein sui servizi del 2006, recepita in Italia nel 2010. L’articolo 12 della direttiva stabilisce che, laddove il numero delle concessioni sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, il rilascio deve avvenire tramite gara, per una durata limitata, senza rinnovo automatico e senza preferenze per il precedente concessionario; con la possibilità di parziali deroghe rispetto ai predetti principi solo in particolari settori e per particolari esigenze di interesse pubblico.

Nel 2021 il Consiglio di Stato aveva fissato la data del 31 dicembre 2023 come termine ultimo per riassegnare le concessioni balneari tramite procedure ad evidenza pubblica stabilendo anche che, eventuali proroghe, sarebbero state a ogni modo invalide.  Ma tutto è rimasto fermo sino ai giorni scorsi, quando è arrivato l’atto di indirizzo del governo Meloni.  Non è semplice porre rimedio a questa babele normativa. La materia rientra tra quelle ripartite: chi deve fare i bandi? E come? Di sicuro, il governo nazionale avrebbe dovuto predisporre un decreto attuativo, di cui ancora oggi non c’è traccia.

Proroga o non proroga, quel che manca è un approccio sistematico per mettere in sicurezza un settore trainante della nostra economia turistica. In gioco c’è il destino di un pezzo importante della storia del nostro paese, che del turismo balneare ha fatto tradizione e vanto. Stiamo parlando di quasi trentamila imprese, quasi tutte a conduzione familiare. In Sicilia, il settore balneari è composto da quasi tremila operatori.

Così, la notizia dell’ennesima proroga fa tirare un respiro di sollievo ma non spazza le nubi sul futuro delle attività. “Viviamo nel costante incubo di essere tagliati fuori, di vedere cancellati con un colpo di spugna i nostri investimenti e le nostre imprese”, è lo sfogo di Alessandro Cilano, (Fiba Confesercenti Sicilia).

Cilano snocciola anche i dati del settore: “il nostro settore contribuisce con 30 miliardi l’anno al Pil del Paese. E siamo tra i contribuenti più virtuosi. E’ tutto trasparente, perché ogni minimo errore costerebbe la perdita della concessione”. Uno degli argomenti ricorrenti per giustificare il ricorso alla Bolkenstein, e alla conseguente “liberalizzazione” del settore è l’esiguità dei canoni. “Ma è lo Stato a stabilire l’ammontare dei canoni – ribatte Cilano – e quindi non è certamente una nostra responsabilità. Il valore a livello nazionale dei canoni riscossi per le concessioni ammonta a circa 150 milioni di euro. Ma ripeto, non è una scelta che dipende da noi”.

Altro argomento “fondante” di chi sostiene la necessità di applicare quella odiatissima direttiva è la scarsità della risorsa. “Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un nonsense, a un fatto non vero. E’ stata fatta la mappatura delle coste, il 70 per cento sono libere. Quindi il concetto di scarsità delle risorse è quanto meno aleatorio”, prosegue il responsabile Fiba.

In realtà, un paio di anni fa, proprio per controbattere al principio della scarsità, i balneari avevano scritto all’Unione Europea. Hanno ricevuto una risposta: per Bruxelles, non conta solo la quantità, ma anche la qualità delle risorse. Insomma, la burocrazia e le lobbies europei hanno accesso i riflettori sull’immenso patrimonio costiero italiano. Lo vogliono, anche a costo di distruggere decine di migliaia di aziende.

Nonostante l’ennesima mini proroga, è chiaro a tutti che l’applicazione della Bolkenstein per le spiagge italiane è prossima a diventare realtà. Il contatore non potrà più essere azzerato alla fine del 2024. “Ripetono come un mantra – aggiunge Cilano – che dobbiamo adeguarci per non incorrere nella procedura d’infrazione. E’ un atteggiamento ipocrita: l’Italia ha 82 procedure aperte da parte dell’Unione Europea. E va anche detto che nazioni Ue come Spagna, Grecia e Croazia hanno letteralmente scavalcato a piè pari il problema, non tenendo in alcun modo in conto quella direttiva sulle spiagge”.

Pnrr, risorse solo per i mega imprenditori del turismo

Tutto gioca contro gli operatori nazionali. E’ come se un destino avverso volesse punire quella classe imprenditoriale. Un destino che si può intravedere anche nelle modalità con cui è possibile accedere ai Fondi Pnrr per il turismo. “Qualche dubbio viene, spiega Cilano, perché per accedere a quei fondi bisogna avere una forza finanziaria che non è in alcun modo compatibile con la nostra dimensione.  Si prevedono interventi da 500 mila a 10 milioni di euro, ma per ottenere quelle risorse bisogna accendere un mutuo con istituto bancario dal valore equivalente. Per noi è impossibile”.