“Ti faremo arrivare più in alto che puoi”. È questa la frase scelta da parenti e amici per accompagnare l’ultimo saluto a Stefano Gaglio, ucciso lo scorso 15 settembre in via Oberdan dal cognato, Giuseppe Cangemi.
Il suo volto, ritratto su un grande pannello all’ingresso della chiesa di Santa Cristina, accoglie il corteo funebre che conduce il feretro lungo la navata centrale, dove ad attenderlo c’è padre Antonio Garau, celebrante della messa.
Prima di arrivare in chiesa la salma è stata portata per l’ultima volta a casa in largo Nasso a Borgo Nuovo dove abitava il magazziniere con la moglie e le due figlie che adorava.
Lacrime e applausi lungo il corteo per le strade del quartiere. Tantissimi conosceva Stefano. Un grande lavoratore e un marito e un padre speciale.
“Ognuno di noi, entrando qui oggi, vorrebbe trovare le parole giuste. Ma se siamo riuniti in questa chiesa è perché crediamo in Dio. Siamo suoi figli, e dopo questa vita ci attende la resurrezione. Per questo ho pensato che non dovessi parlare io, ma lasciare che fosse Dio stesso a parlare, attraverso la Sua Parola: la Bibbia e il Vangelo – ha detto nell’omelia padre Antonio Garau – San Paolo ci ricorda che “Dio non ci ha destinati alla sua collera, ma ad ottenere la salvezza per mezzo di Gesù Cristo, che è morto per noi”. È un invito a confortarci e sostenerci a vicenda. Questa comunione, però, non può essere solo di oggi, momentanea: deve diventare parte della nostra vita quotidiana.
Viviamo in un mondo che sembra non voler sapere nulla dell’amore. Eppure solo l’amore può salvarci. Le nostre preghiere per la pace hanno senso soltanto se diventiamo testimoni concreti dell’amore: nella famiglia, sul posto di lavoro, con chiunque incontriamo. Perché siamo, prima di tutto, figli dell’amore”.






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