Sostenuti dall’affetto dei loro cari, i parenti delle vittime avanzano lentamente, tra singhiozzi e passi incerti, varcando la soglia della Cattedrale. Monreale si stringe nel dolore, profondamente segnata dalla perdita di tre fratelli: Salvatore, Massimo e Andrea. È il momento della preghiera, ma ancor più della riflessione. La Cattedrale è colma di dolore; nessuno riesce a trovare parole che possano dare un senso a questa tragedia. A guidare l’estremo saluto ai tre giovani è l’arcivescovo di Monreale, Gualtiero Isacchi, che accompagna i familiari in questo difficile e struggente ultimo viaggio.

Monreale in ginocchio

Un paese intero si ferma. Gli occhi sono tutti puntati sul maxischermo, ma nello sguardo di ciascuno si riflette solo il dolore. Non c’è spazio per altro. È un dolore collettivo, viscerale, che ha annullato le distanze, che ha unito volti sconosciuti in un’unica, grande famiglia.

Tra la folla, il dolore è troppo forte da contenere: c’è chi perde i sensi, chi ripercorre quelle ore d’inferno, chi crolla sotto il peso dell’emotività, chi urla per la disperazione. Questa tragedia non riguarda solo chi li conosceva. Riguarda tutti noi.

All’uscita dei feretri, la folla non riesce a trattenersi. Si muove compatta, passo dopo passo, seguendo i tre giovani. Attraversano le vie del centro normanno, poi raggiungono il luogo del disastro. È lì, davanti alla caffetteria 365 in via Benedetto D’Acquisto, che il dolore diventa memoria e protesta. Striscioni pendono sopra l’ingresso e lungo le pareti. Su uno si legge: “Siete piccoli e deboli, la vostra violenza non vi renderà creatori di nulla, ma solo di distruzione. Avete per primi distrutto voi stessi.”

La folla si ferma. Davanti a quel punto preciso, lì dove i tre corpi senza vita sono stati trovati, cala un silenzio pesante, assoluto. Si rivivono, in pochi istanti, quei minuti di follia. I feretri, sorretti da amici e parenti, si fermano. Poi, una voce si alza, tremante ma limpida. Una preghiera cantata, carica di dolore, si diffonde tra le persone. È l’ultimo saluto. Un canto di amore, di rabbia, di speranza. Perché Salvatore, Massimo e Andrea non saranno dimenticati.

 “Tante domande orfane di risposte”

A intervenire nelle battute finali della cerimonia è stato il sindaco Alberto Arcidiacono, visibilmente commosso. “Sono davvero infinite le domande che ognuno di noi si è posto in questi giorni e forse rimarranno orfane di risposte: se oggi la nostra città è in ginocchio non è per paura, ma per commemorare questi splendidi ragazzi e il coraggio che hanno avuto. Massimo, Andrea e Salvo non sono stati ammazzati, ma si sono sacrificati: quella sera le cose sarebbero potute andare molto peggio, è a loro che dobbiamo ispirarci per tornare a camminare e respirare libertà”.

L’ultimo gol di Andrea