Hanno stretto un patto con i potenti di questa regione. Quei potenti, tanti ma non tutti, che hanno a lungo mostrato di  soffrire  la presenza di Crocetta e Lumia al governo per 5 anni ma che per lo stesso tempo sono stati agganciati al treno della risalita grazie ai servigi di qualche burocrate di altissimo rango che ha dimostrato in questi anni, autorità giudiziarie comprese, di essere intoccabile e sempre utile nonostante le apparenti defenestrazioni.

Sono rampanti, esperti, veloci, famelici, giovani e forti e c’è da giurarci sopra che faranno una lunga e brillante carriera, sia che stabiliscano di  proseguire in politica che di ritirarsi (improbabile) nei più comodi spazi delle attività professionali o della consulenza di alto profilo.

Eccoli i golden boys della politica regionale siciliana. I ragazzi, da destra o sinistra, che sono approdati o stanno per esserlo ai massimi livelli del governo regionale, al parlamento nazionale, nelle più importanti stanze del sottogoverno dal gusto antico, da governare adesso con l’approccio moderno dell’epoca catto progressista post rottamazione.

Ma sono giovani, sono ragazzi e sembrano ancora non essere autosufficienti nella gestione del potere, hanno bisogno di essere accompagnati, seguiti e protetti, hanno bisogno di garanzie.

E allora si pongono da una parte ed accolgono a braccia aperte ex militari in pensione chiamati a gestire la cosa pubblica dopo una vita di lavoro nel ruolo di  controllore integerrimo e senza macchie. E lo fanno sotto la guida del leader maturo ed affidabile che introduce queste nomine con stile ecumenico.

Il generale Achille è già stato nominato a Riscossione Sicilia, di Marchetti invece sono trapelate indiscrezioni che lo portavano a questo o quel ruolo dopo la sua esperienza di qualche tempo fa finita per nulla bene alla corte di Leoluca Orlando a Palermo. Ma era stato già Berlusconi a dettare la strada quando lanciando questa campagna elettorale aveva buttato sul tavolo il nome del Generale Gallitelli come ottimo candidato premier per la prossima legislatura.

Ed è questo il punto che ci pare curioso ed utile allo stesso tempo evidenziare: c’è proprio bisogno di militari in pensione da porre al vertice delle più importanti istituzioni che costituiscono il cosiddetto sottogoverno regionale o nazionale?

Non è forse proprio questa circostanza  il simbolo plastico della dissoluzione totale dell’utilità dell’azione politica?

Si tratta di un processo crescente e costante che ormai è vivo da molto tempo in cui il delegato dal popolo delega la forza pubblica per garantire se stesso nell’ascesa serena e sicura.

Prima c’erano i magistrati tirati dentro il governo della cosa pubblica da certa sinistra legalitaria per contrastare il nuovo che avanzava allegro e arrogante oggi ci sono autorevoli componenti delle forze armate  posti in posizione di vertice quasi a sancire il fallimento della qualità politica dei nostri rappresentanti se non la resa definitiva rispetto a modelli corruttivi che stanno  dimostrando di reggere la prova delle aule di giustizia più della gogna delle prime pagine dei quotidiani.

La politica dovrebbe prendersi le sue responsabilità. Dovrebbe ricominciare a farlo. E non è certo la pratica di delega  da parte del delegato che riavvicinerà gli elettori alle urne e respingerà l’ondata populista tanto temuta quanto schernita da tutti.