Il fenomeno dei combattimenti tra cani ha assunto rilevanza nazionale in epoche relativamente recenti.
Le città che in Italia più si sono distinte nel drammatico fenomeno sono state in modo particolare Palermo e Napoli. A partire dagli inizi degli anni novanta, infatti, in entrambi i centri abitati si iniziarono a diffondere le notizie, sempre più incalzanti, di incontri sui quali scommettere cifre di denaro più o meno consistenti. Napoli, innanzi tutto, ed a seguire Palermo.
Nel capoluogo siciliano uno dei primissimi documenti di cronaca relativi ai combattimenti tra cani, fu pubblicato dal settimanale “Epoca” ed era relativo ad incontri che si tenevano in un edificio scolastico in stato di abbandono nel quartiere Borgo Nuovo. I match venivano organizzati con la partecipazione di un tale “Alfio”, che arrivava da Catania, ed avevano come protagonisti non solo le razze classiche, come Pit bull e loro incroci, ma anche meticci.
In tale articolo, infatti, veniva rilevato coma la volontà dell’uomo poteva rendere aggressivo qualunque cane, a prescindere dalla razza di appartenenza.
I racconti che iniziarono a girare, erano tutti tremendi. Cani tenuti al buio e a digiuno, chiusi nei sacchi e bastonati, alimentati con gatti ed altri cani, feriti. Il tutto facendo associare il dolore inferto ad un altro cane. Il padrone, invece, rimaneva dal lato “buono” dovendo poi intervenire per separare i contendenti, rimanendo illeso.
Fu merito delle associazioni animaliste essere riusciti a sollevare il problema portandolo alla ribalta della cronaca. Gli interventi delle Forze dell’Ordine iniziarono di lì a poco ad arrivare. Il primo del quale se ne ha notizia avvenne ad opera della Polizia di Stato allora diretta, a Palermo, dal compianto dott. Manganelli, poi diventato Capo della Polizia. I cani da lotta vennero trovati in via Paruta, dalle parti di Corso Calatafimi. Seguirono poi le operazioni dei Baschi Verdi della Guardia di Finanza, soprattutto nel quartiere Arenella dove, nel corso dei sopralluoghi preparatori, vennero visti dei sacchi che si muovevano. Probabilmente si trattava di gatti ai quali, verosimilmente, dovevano essere ricondotti i resti poi rinvenuti nell’allevamento sequestrato. Seguirono altri interventi e non vi era quasi quartiere di Palermo dal quale non continuavano a giungere segnalazioni. Da Corso dei Mille fino alla Zen, tutta la città era attraversata da note di rilevo sulle quali, però, era difficilissimo avere dei riscontri.
Oggi i cani appartenenti alle razze tipicamente utilizzate nelle lotte, vengono rinvenuti abbandonati in strada, spesso orrendamente sfregiati. Più operazioni dell’Arma dei Carabinieri si sono recentemente susseguite tra cui, forse quella più importante, nel quartire Zen. Per quest’ultima è tutt’ora in corso il processo penale.
Purtroppo il reato di “divieto di combattimenti tra animali” previsto dalla Legge 189/04, non è particolarmente incisivo. Un fenomeno così drammatico e dalle gravi ripercussioni sociali, viene affrontato in maniera appena più pesante del non molto significativo reato di “maltrattamento” e “uccisione” di animali. Basti pensare che la condotta più grave è l’unica a prevedere l’arresto in flagranza di reato, peraltro facoltativo. Bisogna rientrare, però, nelle aggravanti di poche e particolari categorie di personaggi che ruotano nell’ampio fenomeno dei combattimenti, come gli organizzatori. Ruolo che, ovviamente, è molto difficile da dimostrare.
Il fenomeno, però, alligna anche nella mancata microchippatura dei cani. Sarebbe un obbligo di legge, ma non attuando i controlli si crea una terra di nessuno ove il fenomeno criminale prospera. Nessun programma di recupero e riabilitazione dei cani è stato poi messo in atto dalla pubblica amministrazione con il risultato che le strutture di ricovero si saturano velocemente di Pit bull e loro incroci con altre razze, che precludono l’aspetto forse più importante per il contrasto del fenomeno. Il cane, infatti, viene visto solo una macchina per fare soldi. Se viene lasciato ai proprietari per mancanza di luoghi ove poterlo accogliere, è un po’ come dare via libera ai criminali. Questo, purtroppo, è quello che è più volte occorso.
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