La Corte di Cassazione III Sezione civile con la sentenza 7768/2016 del 20 aprile 2016 ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che, nel gennaio 2013, aveva condannato tre medici dipendenti della ex Ausl 6 di Palermo in solido con l’Azienda Ospedaliera Cervello (oggi Azienda Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello) al risarcimento dei gravi danni cerebrali subiti nel durante il parto da Andrea Tristano, assistito in giudizio insieme a i genitori Alfonsa Ficarra e Marco Tristano. dall’avvocato Alberto Gattuccio.

Sono stati infatti integralmente rigettati i ricorsi della Azienda Ospedaliera e dei medici coinvolti che miravano all’integrale annullamento della decisione.

In particolare i tre medici, Domenico Di Grigoli (primario), Giuseppe Gulì e Maurizio Nicolai erano stati condannati dalla Corte d’Appello in solido con l’Azienda Ospedaliera “V. Cervello” al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali subiti da Andrea e dai genitori nella misura complessiva di circa 1 milione e 200 mila euro.

In particolare, ad Andrea era stata riconosciuta una somma, comprensiva di interessi, pari a circa 700 mila euro, ai genitori invece una somma superiore ai 500 mila euro sia per i danni non patrimoniali subiti sia per le elevate spese sostenute in passato per prestare le cure di cui è bisognoso Andrea, oggi maggiorenne, invalido al 100% e completamente non autosufficiente.

Era stato invece escluso il risarcimento del danno disposto alla figlia minore, stabilito in primo grado in 50 mila euro. Ancora, i sanitari e l’ospedale Cervello erano stati condannati in solido a corrispondere ad Andrea, a partire dal 25esimo anno di età e per tutta la vita, una somma mensile di circa 1.300 euro diretta a coprire le ingenti spese che la famiglia sostiene e sosterrà per garantire ad Andrea le cure necessarie.

La Corte di Cassazione ha invece accolto integralmente il ricorso incidentale presentato che, tramite il proprio legale, avevano chiesto di annullare la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui aveva riconosciuto un risarcimento dei danni da malasanità medica in misura inferiore a quella dovuta. In questo modo il risarcimento sarà maggiore rispetto ha quanto ha stabilito la Corte d’Appello.

La Corte di Cassazione – accogliendo pienamente la tesi del legale dei danneggiati – ha ritenuto incongrua la quantificazione operata dal Giudici Palermitani, sia quanto ai criteri utilizzati, sia in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso, annullando in tale parte la decisione e rinviando alla stessa Corte d’Appello, in diversa composizione, che dovrà provvedere ad una nuova quantificazione dei danni.

I fatti risalgono al lontano 18 ottobre 1995, in occasione del parto avvenuto durante il ricovero presso la divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’”Aiuto Materno” ospitata, allora, presso la struttura sanitaria “Cervello”.

La madre venne ricoverata dopo una gravidanza serena, confermata dalla regolarità degli esami eseguiti durante il suo corso.

Veniva visitata nella notte successiva al ricovero, durante la quale accusava fortissimi dolori e chiedeva espressamente che fosse effettuato il parto cesareo ed anche il giorno seguente, nella mattina, dal primario Di Grigoli.

Entrata in sala travaglio alle 15, alle 18,45 dava alla luce Andrea, che mostrava subito segni di una grave sofferenza, tale da necessitare interventi di rianimazione e il ricovero d’urgenza presso la divisione di neonatologia della USL n. 59, da cui veniva dimesso l’11 novembre con la grave diagnosi di asfissia neonatale, che oggi lo costringe ad una vita quasi vegetativa.

La decisione della Suprema Corte, nelle sue 55 pagine, ha confermato le precedenti sentenze del Tribunale di Palermo e della Corte d’Appello che avevano già riconosciuto i sanitari responsabili di gravi negligenze durante il ricovero e nelle fasi antecedenti al parto, consistite essenzialmente nel non avere correttamente valutato i dati provenienti dai macchinari collegati alla paziente e non avere eseguito adeguati controlli tali da evidenziare la sofferenza fetale, che avrebbe potuto e dovuto indurre i medici ad effettuare un parto cesareo e non naturale, come invece avvenne, prima del verificarsi della grave ipossia che ha provocato i gravi danni cerebrali.