Il Confucio del siciliano Prospero Intorcetta, una versione in latino del XVII secolo, tradotto in italiano e in inglese.
“Zhongyong, la costante pratica del giusto mezzo“, dopo tre secoli, faciliterà la divulgazione e la circolazione del pensiero confuciano. Un’operazione editoriale unica promossa dalla Fondazione Federico II, tramite il lavoro di traduzione di due docenti della Kore di Enna, Rodnay LokaJ, latinista, e Alessandro Tosco, sinologo.
Alla presentazione, presso l’Oratorio di Sant’Elena e Costantino, hanno partecipato il presidente dell’Ars, Gianfranco Micciche’, il direttore della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso, il rettore dell’Università Kore di Enna, Giovanni Puglisi, il direttore del centro “Padre Arrupe”, padre Gianni Notari, il presidente dell’Università Kore, Cataldo Salerno, e il presidente della Fondazione Intorcetta, Giuseppe Portogallo.
“La mission della Fondazione – ha detto Miccichè – è promuovere la cultura e l’ingegno siciliani come il gesuita Intorcetta che ha contribuito all’integrazione comunicativa fra due mondi allora sconosciuti”
“I curatori – ha sottolineato Patrizia Monterosso – hanno svolto un lavoro meticoloso attraverso il metodo comparatista. Intorcetta traduce il pensiero di Confucio in latino, la koinè dell’epoca, assolvendo ad un intento universalizzante della cultura che era fedele a sant’Ignazio. Oggi, forse, non è facile comprendere le difficoltà in cui si muoveva il gesuita siciliano, fu sagace di fronte alle insidie di una lingua cinese la cui conoscenza non era ancora approfondita e alla diffidenza nei confronti del cristianesimo, ritrovò nel messaggio confuciano quell’ottimismo antropologico condiviso dai gesuiti. Rappresenta un esempio virtuoso di esercizio della cultura come apertura e non erudizione, voluta da Sant’Ignazio”.
Il layout di “Zhongyong” prevede una lettura simultanea nelle quattro lingue, a destra cinese e latino, a sinistra la doppia traduzione dai due testi ed è qui che si scoprono le rilevanti e, a tratti, sostanziali differenze. I due curatori non hanno letto la traduzione reciproca, così da non lasciarsi condizionare, anche involontariamente, e hanno spiegato che il passaggio traduttivo dal cinese al latino offre degli interstizi in cui si è potuto incuneare il pensiero del Gesuita, il cui scopo ultimo restava l’evangelizzazione e, dunque, una sorta di interpretazione preconizzante del pensiero confuciano in chiave cristiana. Tra le curiosità filologiche, spiegate dal professore Lokaj l’uso del termine “collimare” nel testo latino di Intorcetta, un vero e proprio neologismo che poi entrerà a fare parte dell’uso corrente in italiano.
“L’incontro fra il latino e il cinese – ha detto Giovanni Puglisi – è molto più di un incontro filologico perché segna il passaggio dall’ideogramma, che è in sé un pensiero che travalica il testo, ad una lingua, all’alfabetica flessiva. Due filologie del tutto eterogenee il cui incontro è un’apertura culturale”.
Per quanto riguarda il pensiero religioso di Intorcetta, molto interessante la riflessione di padre Notaro: “Ha percepito la presenza di Dio colta da Confucio nella storia e soprattutto ha visto nell’etica confuciana una traduzione di quella cristiana. Possiamo parlare di una sorta di cristianizzazione del confucianesimo e di “confucianizzazione” del cristianesimo”.