Giuseppe Dainotti è stato ucciso con tre colpi di arma da fuoco. A sparare una 357 magnum. Pistola a tamburo, che non ha lasciato bossoli sull’asfalto.

I colpi come ha stabilito l’autopsia eseguita dal professore Paolo Procaccianti nell’istituto di Medicina Legale del Policlinico hanno centrato l’uomo. Due colpi al torace e uno in testa.

Secondo una prima ricostruzione Dainotti è stato affiancato da due giovani a bordo di una moto. Quello di dietro ha sparato tre colpi che hanno centrato il boss.

Non è ancora chiaro se il killer sia sceso dalla moto e abbia dato il colpo di grazia alla vittima che era caduto dalla bici e rimasto per terra.

Giuseppe Dainotti, capomafia ucciso stamattina a Palermo, era stato scarcerato a marzo del 2016 (e non tre anni fa, come scritto in precedenza).

L’uomo aveva potuto lasciare la cella grazie alla cosiddetta legge Carotti che sostituiva, per chi avesse scelto l’abbreviato, il carcere a vita con la pena di 30 anni.

Dainotti ha scontato 24 anni di reclusione prima di lasciare la prigione. L’ergastolo gli era stato inflitto per l’omicidio, col metodo della lupara bianca, di Antonino Rizzuto, ucciso nel 1989.

Dainotti, fedelissimo di Cancemi, è stato indagato anche per altri due delitti: quello di Umberto Fascella e quello di Antonino Silvestri. La sua è una lunga fedina penale, aveva condanne per droga ma anche per la rapina miliardaria del Monte dei Pegni.

Sull’omicidio di Giuseppe Dainotti, 67 anni, 25 dei quali passati in carcere per scontare condanne per omicidio, rapina e traffico di droga, sono due le piste privilegiate dagli inquirenti. La prima ruota attorno a Gregorio Di Giovanni, altro mafioso di Porta Nuova.

Scarcerato da poco, come il fratello Tommaso, è tornato all’attenzione dei carabinieri perché ritenuto il mandante dell’omicidio del penalista Enzo Fragalà. Indebolito dall’arresto di alcuni suoi uomini, finiti in cella proprio per l’agguato all’avvocato, potrebbe aver deciso di punire Dainotti che avrebbe approfittato delle ultime operazioni dei carabinieri per conquistare potere nel mandamento.

L’inchiesta, coordinata dal pm Caterina Malagoli, prende in esame anche l’ipotesi della vendetta “ritardata” dei nemici storici di Dainotti, i boss Di Giacomo che, già nel 2014, avevano deciso di toglierlo di mezzo appena fosse uscito dalla galera. Giovanni Di Giacomo l’aveva condannato a morte dal carcere.

Contro Dainotti aveva vecchi risentimenti. Secondo le ricostruzioni dei magistrati, Salvatore Cancemi, storico padrino di Porta Nuova, aveva chiesto proprio a Dainotti di uccidere Di Giacomo. Agli antichi dissapori si univa però il timore che Dainotti, scarcerato, potesse creare problemi.

Il delitto, però, sfumò anche perché Giuseppe Di Giacomo, fratello del boss, incaricato di eliminarlo, venne assassinato. La pista, però, sarebbe debole perché i Di Giacomo – Giovanni e l’altro fratello Marcello sono detenuti – non avrebbero più il potere di una volta.

Ha una moglie di 48 anni, incinta di 8 mesi, il boss Giuseppe Dainotti, freddato a colpi di pistola, stamattina, mentre andava in bicicletta nel suo bar, nel quartiere Zisa di Palermo. Dopo aver visto il corpo del marito a a terra, la donna si è sentita male ed è stata soccorsa da un’ambulanza.

Dal 2007 sono stati 5 gli omicidi di capimafia di “rango” a Palermo. Quello di Giuseppe Dainotti, boss del mandamento di Porta Nuova assassinato in strada questa mattina, è il sesto delitto “eccellente” in dieci anni. A giugno del 2007 a cadere sotto i colpi di pistola mafiosi fu Nicola Ingarao, reggente del mandamento di Porta Nuova, ucciso per volere dei capimafia Sandro e Salvatore Lo Piccolo perché tentava di fermarne la scalata ai vertici di Cosa nostra palermitana.

Nel 2011 fu la volta di Giuseppe Calascibetta, anziano padrino di Santa Maria di Gesù. Aveva 73 anni. I sicari gli scaricarono addosso un caricatore di 7,65. Ma solo due colpi lo raggiunsero alla testa sfigurandogli il volto. Sempre nel 2011, il 6 aprile, toccò a Davide Romano, nome nel mondo del traffico della droga. Attirato in trappola, interrogato in una stalla, massacrato di botte e infine ucciso con un colpo di pistola alla nuca.

Secondo il pentito Vito Galatolo sarebbe stato ucciso, su ordine del boss Calogero Lo presti, perché comprava la droga “fuori dalla borgata” Due anni dopo, a febbraio del 2013, a morire fu Franco Nangano, freddato da due killer in moto, con il volto coperto da casco integrale, sotto gli occhi di passanti e commercianti in via Messina Marine, nel quartiere Brancaccio.

Assolto dalle accuse di mafia tanto da avere avuto un risarcimento di 270mila euro per ingiusta detenzione, per gli inquirenti, sarebbe stato comunque vicino alla cosca di Brancaccio alla quale non fu però mai affiliato formalmente. Era scampato a un attentato nel suo autosalone prima dell’agguato mortale. A marzo del 2014 è stata la volta di Giuseppe Di Giacomo, fratello dello storico nemico di Dainotti, Giovanni Di Giacomo, boss del mandamento di Porta Nuova. Solo l’omicidio Ingarao è stato risolto con le condanne ormai definitive di mandanti ed esecutori. Gli altri delitti non hanno ancora un colpevole.