Nell’operazione Alcatraz condotta dai carabinieri del comando provinciale di Trapani e il personale del nucleo investigativo regionale Sicilia della polizia penitenziaria il giudice Caterina Brignone ha disposto il carcere per Natale Carbè, 45 anni di Avola (Ag), Antonio Lo Pinto 25 anni di Mazara del Vallo, Carmelo Salanitro, 35 anni di Catania, Margaret Asaro, 51 anni di Vaprio d’Adda (Mi), Vito Ingrassetto, 48 anni di Mazara del Vallo, Salvatore Addolorato, 27 anni di Mazara del Vallo, Alessio Scirè, 31 anni Mazara del Vallo, Antonello Sanfilippo, 36 anni Mazara del Vallo. Giuseppe Cirrone, 54 anni di Erice, James Burgio, 30 anni di Agrigento, Felice Beninati, 26 anni di Erice,  Pietro Mazzara, 36 anni di Erice, Davide Monti, 33 anni di Bari, Nicola Fallarino, 38 anni di Benevento e Nunzio Favet, 69 anni.

I domiciliari sono stati disposti per Annarita Taddeo, 31 anni di Benevento, Giuseppe Cangemi, 43 anni di Salemi, Davide Monti, 33 anni di Bari, Roberto Fallarino, 33 anni, di Benevento, Vincenzo Piscopo, 33 anni di Benevento e Adriano Leone 36 anni di Foggia.

Dalle indagini sarebbe, quindi, emerso uno spaccato inquietante della realtà carceraria trapanese, ove per la popolazione detenuta, la possibilità di utilizzare i telefoni, come strumento di comunicazione con l’esterno, sembrerebbe essere divenuta indispensabile per la quotidianità all’interno degli istituti penitenziari.

Gli investigatori avrebbero accertato le diverse modalità delle consegne in carcere. Quando queste non erano possibili mediante l’aiuto degli agenti infedeli, gli espedienti utilizzati erano i più disparati: alcuni detenuti optavano per l’occultazione del materiale in scarpe o finanche nelle cavità corporee, altri si avvalevano di tecniche “innovative” come il lancio all’interno dell’istituto penitenziario di un pallone da calcio, preventivamente  “farcito” con telefoni cellulari, oppure mediante “droni” che persone specializzate mettevano a disposizione come un vero e proprio servizio di “delivery”.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, alcuni agenti infedeli avrebbero anche utilizzato certificazioni mediche attestanti falsi stati di malattia per poter svolgere lavori extra quali, ad esempio, il servizio di sicurezza presso locali notturni, oppure altre attività personali durante l’orario di lavoro.

Nel corso dell’attività investigativa (denominata convenzionalmente “Alcatraz”) sono state complessivamente sottoposte ad indagini 30 persone, tra cui quattro agenti di polizia penitenziaria, tutti non più in servizio (di cui due non destinatari di provvedimenti cautelari). Uno degli ex agenti è indagato perché avrebbe omesso di denunciare all’autorità giudiziaria il presunto pestaggio di un detenuto ad opera di alcuni agenti penitenziari.

È obbligo rilevare che gli odierni indagati e destinatari della misura restrittiva, sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione sarà definitivamente vagliata giudizialmente solo dopo la emissione di una sentenza passata in giudicato in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.

 

 

 

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