Nei primi mesi di quest’anno l’andamento positivo dell’economia siciliana si è lievemente consolidato, grazie anche alla crescita delle esportazioni, in particolare di quelle del petrolio, l’occupazione è ritornata in terreno positivo, il tasso di disoccupazione è rimasto tale e quale a quello dell’anno scorso, gli investimenti fissi delle imprese in beni strumentali hanno trovato un nuovo slancio, ma purtroppo le famiglie continuano ad avere paura e hanno mantenuto una certa prudenza nella spesa. E per il 2017 si prospetta un +0,9% del Prodotto interno lordo, un tasso di crescita che si avvicina a quello del resto del Paese. Sono questi i principali dati emersi nel corso della presentazione dell’edizione numero 47 del Report Sicilia, l’analisi previsionale sull’economia dell’Isola, che ha per titolo “Uscire dalla palude, riprendere il mare aperto”, realizzata da Diste Consulting per Fondazione Curella, presentata nella sede dell’Associazione siciliana della Stampa, a Palermo.

La presentazione, alla quale ha partecipato anche Davide Faraone, sottosegretario alla Salute, è stata coordinata dal professore Pietro Busetta dell’Università degli Studi di Palermo e presidente della Fondazione Curella, con gli interventi del professore Giovanni Ferri, pro rettore Università Lumsa, di Alessandro La Monica, presidente Diste Consulting, che ha illustrato il Report, del professore Maurizio Caserta dell’Università di Catania, di Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo, e del professore Antonio Purpura dell’Università di Palermo.

“In Sicilia non si fa sviluppo senza manifatturiero – ha rimarcato il professore Busetta – se l’industria non diventerà industria seria, se non riusciremo ad avere altri 900 mila posti di lavoro non avremo via d’uscita”.

Nella prima parte del 2017 la fase di recupero dell’economia siciliana si è lievemente consolidata, mostrando una progressiva convergenza in prossimità delle dinamiche nazionali. Le esportazioni hanno iniziato l’anno con il vento in poppa – +38% in termini monetari nel primo trimestre – in parte per l’episodico rincaro del petrolio raffinato, di cui l’Isola è grande esportatrice, ma anche per la performance dell’export di prodotti dell’industria manifatturiera, esclusa energia (+16,3%).
L’occupazione, dopo il crollo nella parte finale dell’anno scorso, è ritornata nel primo quarto 2017 in territorio positivo (+1,1% l’incremento rispetto a dodici mesi prima) con la creazione netta di 14.200 nuovi posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione ha mantenuto il livello di gennaio/marzo 2016 (22%), bloccando la tendenza crescente dei due trimestri precedenti.
Gli investimenti fissi delle imprese in beni strumentali hanno preso slancio, anche in virtù degli stimoli fiscali previsti dalle leggi di bilancio dell’ultimo biennio.

Per i consumi delle famiglie e gli investimenti in costruzioni l’uscita dalla più grave crisi del Dopoguerra si sta rivelando invece più lenta e faticosa, quindi, con cadenze meno apprezzabili ma pur sempre positive.
Sulla base della diagnosi congiunturale della prima parte dell’anno, corroborata dall’inchiesta Diste/Fondazione Curella, è stato condotto un esercizio previsionale per l’intero 2017, non prima di aver revisionato le stime preliminari 2016 presentate nel precedente Report Sicilia.

Le nuove stime di consuntivo 2016 dell’economia siciliana danno conto di una dinamica meno lusinghiera di quella tratteggiata in precedenza, conseguente alla forte flessione autunnale della produzione agricola e alla temporanea perdita di tono oltre che delle attese della congiuntura sul finire dell’anno.

Il 2016 si è chiuso per l’economia regionale con una crescita del prodotto interno lordo dello 0,6%, un tasso quindi non lontano dalla media nazionale (+0,9%). Rispetto all’anno ante/crisi (il 2007) il PIL registra un calo del 12,2%.
L’occupazione – aumentata nei primi nove mesi dell’1% è poi nel quarto trimestre inaspettatamente crollata del 3,2% – ha conservato un livello pressoché uguale a gennaio/marzo 2016 (-0,1%).

Dal 2007 sono stati eliminati 223.600 posti di lavoro occupati da personale di età inferiore a 44 anni, e ne sono stati creati 94.200, coperti da ultra 44enni. La perdita totale di occupazione nei nove anni è quindi di 129.400 unità.
Si tratta di un fenomeno di “senilizzazione” del mercato del lavoro abbastanza diffuso, sia pure con differenti intensità, in tutte le aree del Paese, dovuto per la maggior parte alle riforme che hanno innalzato l’età pensionabile.
Nella realtà locale non sarebbero i vecchi a “rubare” il lavoro ai giovani, semmai qui il problema è che mancano le opportunità lavorative per tutti. In modo particolare per chi possiede capacità professionali di medio/alto livello, mentre s’impoveriscono le competenze dei giovani.

Il tasso di disoccupazione totale è salito al 22,1%, quello giovanile ha toccato il massimo storico del 57,2%. Tra disoccupati veri e propri (383.000) e residenti che vorrebbero lavorare, ma non hanno svolto azioni di ricerca, l’area della disoccupazione coinvolge ormai poco meno di un milione di persone, quasi 300.000 in più del 2007.

L’andamento della spesa di consumo delle famiglie sul territorio economico – compresa la spesa dei turisti che hanno soggiornato nella regione e al netto di quella dei residenti momentaneamente fuori dall’Isola – ha mantenuto una cadenza prudente (+0,9%); la spesa per investimenti è aumentata del 2,0%. Per le due componenti il differenziale rispetto al 2007 è negativo: del 12% per i consumi, del 35% per gli investimenti.

Sul versante della produzione, il valore aggiunto è aumentato del 2,2% nell’industria e dello 0,4% nei servizi, mentre è diminuito dello 0,3% nelle costruzioni e del 4,8% in agricoltura, silvicoltura e pesca. I volumi di produzione dell’industria e delle costruzioni restano lontanissimi dai livelli toccati appena nove anni prima: -41% in entrambi i casi. Per i servizi il divario negativo è limitato al 5%.

“Le proiezioni per tutto il 2017 – spiega il professore Pietro Busetta – rispecchiano il profilo congiunturale di misurata tonificazione della prima parte dell’anno, con il Prodotto interno lordo che potrebbe aumentare dello 0,9%, in graduale avvicinamento alla dinamica media nazionale che è dell’1,1% avremo un saldo netto di circa 15.000 nuovi posti di lavoro, ma al contempo il mantenimento del tasso di disoccupazione su un livello del 22,3%, lievemente superiore al 2016”.

Sul fronte della produzione, il valore aggiunto dell’agricoltura – in conseguenza delle condizioni climatiche – conserverà all’incirca il modesto volume dell’anno precedente (+0,4%), uno dei più bassi dell’ultimo decennio; il valore aggiunto dell’industria dovrebbe aumentare del 2,0%, quindi con un ritmo simile a quello del 2016; per le costruzioni si stima una crescita dell’1,2% dopo il contenuto cedimento dell’anno precedente; l’attività nel ramo dei servizi continuerà a progredire moderatamente (+0,5%) nel solco della fiacca ripresa della spesa di consumo.

“Il clima di fiducia delle famiglie e delle imprese – aggiunge Alessandro La Monica – rimarrà impregnato dall’incertezza sul futuro, che indurrà a non eccedere nella spesa. La percezione d’insicurezza, più insistente nell’ambito famigliare, determinerà un aumento dei consumi ancora debole (+0,7%). D’altra parte – prosegue La Monica – la riluttanza delle imprese a intensificare la spesa in conto capitale sarà mitigata dalle agevolazioni fiscali, dal basso costo del credito e dalla necessità di rimpiazzo delle attrezzature obsolete, inducendo una crescita degli investimenti in accelerazione sia per i macchinari e mezzi di trasporto con un +4% sia per le costruzioni con un +1,7%”.

La quota degli investimenti fissi lordi sul PIL è stata in costante regresso dal 2007 al 2014 (-7,8 punti rispetto al valore massimo del 2006), mentre avrebbe recuperato appena 0,7 punti percentuali nel triennio successivo.
Per ritornare al valore medio del decennio 1998/2007 (quindi alla quota del 20,1%), con la dinamica dell’ultimo triennio occorrerebbero non meno di vent’anni.
Per quanto riguarda l’intera Nazione, la tendenza regressiva del rapporto investimenti/PIL è iniziata nel 2008 e conclusa nel 2014 (-5,0 punti percentuali rispetto al 2007), mentre il recupero del 2015/2017 sarebbe di 0,9 punti. Proseguendo di questo passo, per riconquistare il livello medio del decennio 1998/2007 (20,9%) ci vorrebbero dieci anni circa.

“Il Sud non cresce – ha sottolineato Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo – né in termini di ricchezza prodotta, né quanto a domanda e consumi. Dal 1995 ad oggi le variazioni delle grandezze economiche sono state pressoché nulle: una lenta performance che ha trascinato verso il basso le medie nazionali ed aumentato il gap con le regioni del Nord che hanno reagito meglio alla crisi. Ecco perché parlare oggi di crescita del Pil senza mettere al centro la spaccatura che divide il Paese è poco più di uno sterile esercizio. Non possiamo più perdere tempo – ha sottolineato Di Dio – e non possono esserci altre strade se non quella di portare avanti un sistema partecipativo e di condivisione di progetti e di capacità professionali, occorre accorciare le distanze tra l’Europa e i territori e ridare fiducia al sistema Europa, occorre un’attività di sensibilizzazione delle politiche europee che spesso hanno tenuto a torto i nostri settori ai margini; a torto, a maggior ragione, se in Sicilia il valore aggiunto prodotto dai nostri settori, quelli dei servizi, del terziario di mercato su €78.334 milioni è di € 64.000 milioni”.

“Dalla Sicilia ormai non emigrano soltanto braccia, ma anche cervelli – ha detto il professore Giovanni Ferri – e se non riusciremo ad attrarre investimenti per questa terra sarà poi difficile trattenere le intelligenze. Se vogliamo trattenere questi giovani che vanno via dobbiamo dare loro prospettive. Bisogna avere una vision del futuro e dobbiamo essere capaci di attrarre investimenti pensando ai punti di forza della Sicilia come i prodotti tipici che esistono in abbondanza, come la tradizione del vino siciliano. Bisogna mettere assieme tutte le forze per lanciare su scala internazionale i prodotti di qualità che questa terra offre”.