Dell’ex Cotonificio Siciliano di Partanna Mondello a Palermo si ricordano tutti. Aperto nel 1952, in piena ricostruzione dopo la guerra, ha dato lavoro a centinaia di palermitani sino agli anni Settanta.
Ora però nessuno sa con certezza quale sarà il futuro di uno dei simboli della Palermo industrializzata.
I residenti del quartiere, molti dei quali riunitisi nell’associazione senza scopo di lucro Aiace, vorrebbero che il Cotonificio, grande 5500 metri quadri ed adesso estremamente degradato, venisse riqualificato e restituito alla collettività. L’idea è quella di farne un luogo produttivo, culturale, sociale e aggregativo che tenga conto della storia da ‘archeologia industriale’ del cotonificio conservandone la memoria.
Intanto, dopo anni di battaglie da parte dell’associazione Aiace, è stata completata lo scorso giugno la bonifica del tetto della struttura che era costituito da lastre di amianto. Un vero e proprio ‘veleno’ per un quartiere che i residenti vogliono fortemente valorizzare e rendere più vivibile. Gli stessi che non sono disposti ad accettare che si lucri sull’ex Cotonificio.
Ma procediamo con ordine. Risale al 2013 un progetto del Comune di Palermo che prevede, secondo quanto stabilito in una delibera del Consiglio comunale inerente il nuovo piano di edilizia sociale, che le ex aree industriali dismesse da almeno tre anni, ovvero aree D, possano essere destinate alla costruzione di alloggi popolari. Per l’area dell’ex Cotonificio ne sarebbero previsti 378.
Le cose, però, potrebbero andare diversamente. Perché, secondo quanto appreso dai residenti, alcune cooperative edilizie potrebbero acquistare la struttura per costruire degli appartamenti da vendere poi a privati. Un’ipotesi che il Comune di Palermo starebbe valutando ma che ai residenti non piace affatto.
Lo spiega bene Eduardo Marchiano, presidente di Aiace Palermo: “Finché si parlava di housing sociale, eravamo anche d’accordo, dal momento che a Palermo l’emergenza abitativa è uno dei problemi che più colpiscono la popolazione. L’housing sociale poi, prevede anche che i palazzi siano circondati da aree verdi, con spazi aggregativi, e tutta una serie di altri elementi che avrebbero valorizzato la zona. Adesso apprendiamo che i privati vorrebbero accaparrarsi la struttura. Si parla di 233 appartamenti costruiti da almeno 5 o più cooperative edilizie. Per il profitto dei privati, verrebbe cancellata la memoria storica del posto. Noi immaginiamo per il Cotonificio un futuro diverso: se ne potrebbe fare un mercato coperto, come accaduto ad Amsterdam o Madrid, con zone dedicate alla promozione delle eccellenze del territorio, al recupero degli antichi mestieri, all’artigianato o un centro per la moda. Gli usi sarebbero innumerevoli e tutti a vantaggio della collettività: questa è una zona che ha una importanza storica e sociale non indifferente e deve restare di proprietà del territorio”.
La proprietà dell’ex Cotonificio è un altro enigma da risolvere. Nel 2005 la Regione, allora proprietaria del bene, inizia una trattativa di vendita con una società privata, la MG, che però sarebbe fallita prima ancora di ultimare l’acquisto. Subentra dunque un periodo di curatela fallimentare. Poi la struttura torna nell’oblio.
Lo spiega bene Nadia Spallitta, vicepresidente vicario del consiglio comunale di Palermo: “L’ex cotonificio – dice – è un immobile di pregio, con caratteristiche uniche, storiche e va per questo tutelato. Io ho presentato a tal proposito un emendamento che non è passato, ma è stata ottenuta una piccola vittoria con l’approvazione di un ordine del giorno che stabilisce che gli immobili che hanno le caratteristiche di archeologia industriale vanno mantenuti integri e tutelati. I residenti del quartiere temono che un giorno o l’altro l’ex Cotonificio venga demolito per iniziare la costruzione delle case. Ho scritto all’assessorato regionale a Territorio e Ambiente per sapere a chi appartenga l’area, ed ancora attendo risposta. Da ciò che ne sappiamo, la società privata non ha fatto in tempo a comprare, quindi il Cotonificio dovrebbe essere ancora della Regione. Gli uffici competenti, tuttavia, non danno ancora delucidazioni a tal proposito”.
Nadia Spallitta ha presentato in consiglio comunale numerose interrogazioni per vederci chiaro. “Ritengo – spiega ancora – che queste cooperative non abbiano i requisiti giuridici per accedere a questo progetto. La delibera del Comune di Palermo specifica che possono realizzare alloggi in zone dismesse le cooperative edilizie che hanno già finanziamenti regionali.
Queste cooperative devono dimostrare di avere la titolarità del bene e di finanziamenti regionali: io ho chiesto copia dei decreti di finanziamento e ad oggi non mi sono stati trasmessi, ho solo un decreto in cui si dice che sono ammesse a finanziamento, che è ben diverso dall’averlo ottenuto”.
Ma c’è di più, perché, per poter costruire in una zona dismessa, è necessaria una variante urbanistica, e come conferma il vicepresidente vicario “nessun provvedimento del genere è arrivato in consiglio comunale”.
Il timore di molti è che si parta con un progetto di housing sociale che nel tempo si trasformi però in edilizia privata. Insomma, di interessi sull’ex Cotonificio ne gravitano parecchi e sono in molti a difendere la struttura ribadendone l’importanza non solo per il quartiere ma per l’intera città.
Tra loro, anche Cesare Airoldi – figlio di Pietro, progettista del Cotonificio – che ha presentato alla competente soprintendenza la richiesta di vincolo antropologico del luogo, o l’architetto Dario Cottone, che dopo un accurato studio ha elaborato un progetto per la riqualificazione del Cotonificio trasformandolo in un polo tessile e restituendolo alla sua antica ma sempre attuale vocazione.
Insomma, Palermo non può permettersi che la storia del Cotonificio venga svenduta al miglior offerente.
L’associazione Aiace, i residenti e molti altri continueranno a battersi perché la struttura possa avere la migliore sorte possibile: “Intanto – conclude Marchiano – c’è un altro passo da fare: hanno tolto l’amianto ma il Cotonificio adesso è senza tetto. Le piogge potrebbero creare danni ingenti. La Regione deve intervenire”.
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