Come in quei vecchi thriller, di cui si poteva conoscere il colpevole leggendo il prologo, la Sicilia sprofonda nuovamente in zona gialla. Il cromatismo di fine estate è prodromico a ben più rigide strette nel prossimo orizzonte degli eventi. Da copione, la responsabilità di questo irrigidimento delle norme di contenimento del virus vengono scaricate sull’opinione pubblica. Esempio lampante di questo dogma politico – basato sul nulla scientifico – è l’accanimento contro le genti di Palermo, di quel campione di propaganda che è Leoluca Orlando. Che apre le porte ai profughi afgani, vive nella perenne attesa di poter sigillare i palermitani nelle loro abitazioni, ma nulla può e nulla fa di concreto per l’ormai sempiterno scandalo della mancata tumulazione delle salme nel capoluogo di regione.
Questa ennesima puntata del “Giallo covid” alla siciliana, però, deve fare riflettere su precise responsabilità politiche. A trasi e nesci, il presidente siciliano Musumeci ha parlato del giallo come campanello d’allarme, aggiungendo che, in fondo, quel cromatismo, cambia di poco o nulla nel vivere quotidiano.
Non è un bel segnale politico e Musumeci dovrebbe riflettere a fondo sui messaggi che lancia. Da un lato, sostenere che il “giallo” cambia poco o nulla ha fatto digrignare i denti ai virologi e ai medici siciliani che lamentano già una pressione notevole sugli ospedali. Dall’altro, l’inquilino di Palazzo d’Orleans dovrebbe fare una riflessione, e spiegare come questo sia possibile, che proprio i suoi serbatoi di voti sono le province in cui si registra l’indice di immunizzazione più basso nella regione. Nemo profeta in patria nella campagna vaccinale? Sembra di sì, visto Catania e Siracusa sono in coda alle classifiche di vaccinazione (Siracusa è l’ultima per immunizzati, col 56,63%, mentre il 65,80% ha ricevuto almeno una dose; Catania ha il 57,30% di immunizzati ed il 65,94% ha ricevuto almeno una dose). La tanto bistrattata Palermo, invece, nonostante quel che possa sostenere Orlando è al comando della classifica con il 66,95% della popolazione immunizzato (il 76,17% ha almeno una dose).
In realtà, sono i dati dell’intera campagna vaccinale in Sicilia a far preoccupare. Sono state somministrate 5,6 milioni di dosi rispetto ai 6,4 milioni consegnati. Se confrontiamo i dati della nostra regione con quelli nazionali, ci accorgiamo che il nostro sistema sanitario sconta un gap estremamente significativo nella messa in sicurezza delle fasce d’età più anziane. A livello nazionale, gli over 80 vaccinati sono il 91,7 per cento, in Sicilia siamo fermi a un 76,8. Un gap in media di dieci punti percentuali rispetto ai dati nazionali si registra nella nostra regione anche nelle fasce d’età comprese tra i 79 ed i 59 anni. Con l’avvicinarsi delle stagioni più fredde, stiamo correndo un rischio altissimo.
Musumeci, nella sua dichiarazione di qualche giorno fa, ha addebitato la colpa della zona gialla e del risultato mediocre della campagna vaccinale all’opera di propaganda dei no-vax e ad un “ingente flusso di turisti”. Non commento la seconda opzione: la terra dell’accoglienza per antonomasia accosta i turisti – che portano risorse economiche e contribuiscono ad accrescere la reputazione dell’isola – alla manzoniana immagine degli untori. Per quel che riguarda i no-vax, è sin troppo semplice sostenere che le colpe siano loro, quando in mano si hanno le leve del potere ed il consenso diffuso e generalizzato dei media.
Dalla fine dell’estate non arrivano buone nuove. Tra un paio di settimane riaprono le scuole, vero test per capire come riusciremo ad affrontare questa nuova fase della pandemia. Al di là delle evidenti difficoltà che sta affrontando il sistema Sicilia, c’è da essere molto preoccupati per quel che sta accadendo fuori dai nostri confini. In Israele sono arrivati alla somministrazione della terza dose vaccinale. Nonostante questo “boost”, i dati del contagio della variante Delta sono altissimi. Non si tratta di mettere in discussione la campagna vaccinale, ma forse è giunto il momento di affrontare con spirito laico questa vicenda. Più fatti e meno dogmi.
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