“La lunga carrellata sulle opere, cinematografiche e non, che Carmelo Franco dedica a Giovanni Falcone e alla mafia, si conclude, non a caso, con la foto che riprende Falcone e Borsellino, sorridenti e complici, alla presentazione della candidatura di Giuseppe Ayala in parlamento.

Quella immagine è divenuta iconografica ed ha finito per rappresentare l’epitome dell’avventura umana e professionale di Falcone, e ancor più in generale della lotta alla mafia, molto meglio della finzione cinematografica e televisiva che con il puntiglio del ricercatore storico Franco ripercorre nello scritto. C’è, in quella foto, la dirompente vitalità dell’amicizia di due uomini, impegnati certamente in una battaglia mortale contro il crimine organizzato e consapevoli dei rischi che correvano, ma anche alieni dalle autocelebrazioni e dalla riduzione machiettistica del loro impegno, che si ritrova in film e tante fiction che al tema si sono dedicati”.

Lo scrive nella sua prefazione al libro, Valerio Spigarelli, già presidente nazionale delle unione camere penali. Il saggio è un’analisi tra storia e cronaca attraverso i fotogrammi del cinema e della TV di un periodo drammatico della nostra terra. “Giovanni Falcone al cinema – Una vita da giudice senza le parti noiose” è il titolo del libro dell’avvocato Carmelo Franco, edito da Torre del Vento, (pagine 117; 14 euro). Il saggio ripercorre la lunga carrellata di opere cinematografiche e non, che hanno raccontato la figura del magistrato e la lotta alla mafia da lui condotta.

“Quello fra la settima arte e la nostra storia, recente e passata, è sempre stato un rapporto prolifico e complesso al tempo stesso.
– afferma l’autore – La narrazione cinematografica si approccia spesso a quei personaggi che, per la loro statura o per gli avvenimenti di cui sono stati protagonisti, sollecitano la fascinazione popolare. Tuttavia, il cinema ha il compito non sempre facile di coniugare estro artistico e fedeltà, nel tentativo di non cadere in pericolose semplificazioni”.

“Appare curioso notare – aggiunge Franco – come Falcone sia entrato nella galleria di quei personaggi della storia italiana a cui il cinema si è più accostato: la sua figura si colloca, infatti, ai primi posti di un’ipotetica classifica delle personalità del nostro passato più rappresentate nel piccolo e grande schermo. Tuttavia, quella di Falcone è una figura a cui è complesso approcciarsi, e per le intricate vicende che hanno scandito la sua vita di magistrato, e per il suo fondamentale lascito professionale alle generazioni future. La sua storia, quindi, si intreccia agli avvenimenti di cui è stato partecipe in una matassa difficile da sbrogliare”.

“Quello fra la settima arte e la nostra storia, recente e passata, è sempre stato un rapporto prolifico e complesso al tempo stesso. – scrive Franco – La narrazione cinematografica si approccia spesso a quei personaggi che, per la loro statura o per gli avvenimenti di cui sono stati protagonisti, sollecitano la fascinazione popolare. Tuttavia, il cinema ha il compito non sempre facile di coniugare estro artistico e fedeltà,
nel tentativo di non cadere in pericolose semplificazioni”.

“Tale rapporto diventa ancor più delicato se si analizza come la cinematografia si è accostata alla figura del giudice Giovanni Falcone, il cui ricordo è inestricabilmente legato a una delle pagine più dolorose della nostra storia, ovvero l’eccidio di Capaci, e poi la strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta – aggiunge – . Per noi italiani, o almeno per quanti di noi erano
già nati all’epoca, i fatidici eventi del ’92 hanno congelato il tempo in un’istantanea: non possiamo dimenticare dove eravamo, con chi, che ora fosse, quando ricevemmo la notizia delle stragi. Anche in virtù del carico doloroso di tali avvenimenti, la figura di Giovanni Falcone è stata
definitivamente consegnata alla memoria collettiva.

Risulta allora interessante analizzare sia le opere a lui direttamente dedicate, sia quelle in cui la sua presenza è parte essenziale di altre storie, ponendo particolare attenzione al contesto, non solo cinematografico, che esisteva al momento della loro realizzazione”.

“E tale percorso non può prescindere dal ricordare – osserva il legale prestato alla saggistica – gli attori che hanno interpretato il giudice, molti dei quali, al di là di una sterile riproduzione mimetica, hanno saputo far rivivere la malinconia, il rigore, l’ironia e la grande umanità che lo caratterizzavano”.

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