C’è una bellissima canzone di Gino Paoli, “Averti addosso”, scritta per la sua Ornella Vanoni, in cui si accenna all’estate di San Martino perché un tempo, in cui l’autunno entrava prepotentemente a settembre, il ritorno della più bella stagione, a novembre, era una sorta di magia, che si riproponeva anno dopo anno.
Il 25 novembre 1985, però, il sole si spense su Palermo, facendola precipitare in un buio fitto. In quel maledetto giorno, infatti, 2 adolescenti, Giuditta e Biagio, di 17 e 15 anni, alunni del Meli, salutatorono la vita nel modo più tragico: falciati, alla fermata dell’autobus, in via Libertà, dall’auto di scorta del giudice Paolo Borsellino. Due vite e un drammatico destino, due bei volti sorridenti che, da quel momento sarebbero stati accostati per sempre.
Ed ecco che mi ritorna, nuovamente, in mente il brano di Gino Paoli “Averti addosso” perché ci sono storie, come queste, che ti si cuciono sulla pelle e continuano a sanguinare, come ferite, senza rimarginarsi. Ma chi erano Giuditta e Biagio?
Giuditta
Giuditta era figlia di Francesca e Carlo Milella, questore di polizia di Palermo, da pochi mesi trasferitosi a Roma negli uffici del Ministero dell’Interno. Il padre, tutte le volte che poteva, ritornava in città, proprio come quel 25 novembre, per stare con la moglie e la figlia, che frequentava la III B, l’ultimo anno del Liceo Classico “Giovanni Meli”. Francesca, la mamma, ha raccontato che una settimana prima, ancora in pigiama, la ragazza era andata da lei chiedendole di non andare a scuola perché aveva l’inspiegabile paura che qualcosa volesse distruggerla. Il lunedì successivo, nonostante avessero fatto tardi la sera, ricordando l’assenza precedente, Titta era andata a scuola e aveva salutato la mamma con un bel bacio che le aveva dato una grande felicità, come se fosse il primo che riceveva.
Carlo che, intorno alle 13.30, era poco lontano dalla fermata dell’autobus di via Libertà, dove decine di persone, soprattutto studenti, aspettavano l’autobus per rientrare a casa dopo le lezioni, aveva sentito le sirene delle auto di scorta, due gazzelle e una macchina blindata, che scortavano i giudici Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta: cosa alquanto comune nella Palermo blindata di quei tempi. Di certo, però, non poteva immaginare quello che sarebbe successo di li a poco.
La prima gazzella si trovò davanti una Fiat Uno e, sbandando, fece una trentina di feriti. Una ragazza e un ragazzo apparvero subito in gravissime condizioni: erano Giuditta e Biagio. Carlo dirà che, inspiegabilmente, il suo pensiero andò alla figlia, provando una strana stretta al cuore. Il sesto senso di un padre. che si aggrappa alla speranza che l’immaginato resti tale per scoprire, invece, giungendo tra i primi sul posto, che a giacere priva di sensi era, proprio, la sua bambina che, dopo aver lottato, tra la vita e la morte, senza mai riprendere conoscenza, in una stanza dell’Ospedale Civico, nonostante le preghiere dei genitori e dei compagni del Meli, il primo dicembre si arrese.
Biagio
Biagio era figlio di Maria Stella e Nicola Siciliano, operaio ferroviario della Keller, aveva dei fratelli più piccoli e viveva a Capaci. La sua passione per lo studio lo aveva portato a iscriversi al Liceo Classico “Giovanni Meli”, a Palermo, dove frequentava la quarta ginnasio, sezione D. Ogni giorno quel breve viaggio non gli pesava perché quella scelta era stata pensata e desiderata. Biagio era un ragazzo sereno e con tanti sogni, il primo quello di diventare veterinario, d’altronde aveva solo 14 anni e tutta la vita davanti, il secondo, forse, il pallone, visto che era nella scuola calcio di Capaci.
Quel lunedì, 25 novembre, si era preparato come ogni giorno per andare a scuola e, dopo le ore di lezione, al suonare della campanella era uscito per andare alla fermata dell’autobus di Piazza Croci, che lo avrebbe riportato a casa. Il destino, però, aveva scritto un’altra storia. Mentre chiacchierava con i compagni, guardando chissà la ragazzina dei suoi sogni, alle 13.40 sentì assordanti e sempre più vicine le sirene delle auto di scorta di qualche magistrato, che utilizzavano le corsie di emergenza. Biagio tutto pensava fuorché che quelli fossero i suoi ultimi istanti di vita. Forse non si accorse neppure che una Fiat Uno, invadendo la corsia, impattò con la prima auto di scorta che, con una carambola, come impazzita si scaraventò contro la fermata del bus. Biagio salutò la vita, che aveva appena iniziato a costruire, schiacciato dalle lamiere. La corsa in ospedale fu inutile.
Maria Stella, la mamma, raccontò che quella mattina il figlio era stranamente nervoso e senza darle neppure un bacio, andò via. Nella camera mortuaria, mentre guardava il suo bambino, perché a 14 anni lo si è ancora e per i genitori lo si resta sempre, incrociò due occhi che la fissavano con intensa commozione. Era il giudice Borsellino, uno dei miti di Biagio, che non aveva conosciuto in vita, ma per cui il suo non sarebbe più stato un nome come tanti.
A distanza di una settimana, dopo aver dato l’ultimo saluto a Biagio, gli studenti del Meli si ritrovarono, nella chiesa di Maria Santissima della Misericordia, per lo straziante addio alla loro Giuditta. Accanto gli addolorati genitori e i magistrati del pool Antimafia, probabilmente, divorati dal senso di colpa, nonostante non ne avessero alcuna.
“Voglia di risposte“, il libro
Francesca, trovando il diario della figlia, ebbe la forza di leggerlo. Due anni dopo quel tragico e indimenticabile 25 novembre, uscì “Voglia di risposte”, un libro che denunciava l’assurdità di quella morte. A portare qui preziosi appunti, il testamento vitale dell’amica, alla casa editrice Sellerio furono i compagni di classe. Francesca lo ha definito l’atto d’amore di una mamma da regalare agli studenti e alle studentesse come la memoria viva dell’eterna giovinezza della sua Titta.
Giuditta e Biagio saranno ricordati il 25 e il 26 novembre con due giornate che, promosse da Mari Albanese, docente, scrittrice e consigliera dell’Ottava Circoscrizione, dal presidente della stessa, Marcello Longo, e dal Centro di Studi Paolo e Rita Borsellino, apriranno un percorso collettivo su legalità, convivenza e futuro della città di Palermo, insieme a scuole e istituzioni.
Mari Albanese ci ha raccontato che questa due giorni, costruita per il quarantesimo anniversario della morte di Biagio e Giuditta, da considerare vittime innocenti di mafia perché sacrificati al clima di terrore che in quel periodo attanagliava Palermo, vedrà un importante spazio di dialogo con i giovani che sono chiamati a confrontarsi apertamente sul futuro della città, diventandone protagonisti. Da quattro anni, grazie al coinvolgimento delle scuole e delle nuove generazioni, Piazza Croci è tornata a essere un luogo vivo, un presidio di memoria attiva che ogni anno richiama studenti e cittadini.
Programma
Martedì 25 novembre alle ore 10 a Piazza Croci saranno ricordati nel luogo della loro morte. Presenti le alunne e gli alunni dell’ICS Politeama, del Liceo Meli e Vincenzo, il fratello di Biagio.
Mercoledì 26 novembre alle ore 10:00, presso il Convitto nazionale “Giovanni Falcone”, si terrà un incontro con diversi interventi sulla violenza, il degrado urbano e le risorse che le città possono mettere in atto per contrastarli.
Magistratura, istituzioni e società civile si confronteranno sulle emergenze che attanagliano Palermo.
“Dimenticanza è sciagura, mentre memoria è riscatto”. (Anneliese Knoop-Graf).
I bei volti di Giuditta e Biagio, i loro occhi così gioiosi e profondi, non saranno mai passato, ma continueranno a raccontare futuro.
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