La scarcerazione di Giovanni Brusca è un segnale «che va interpretato come speranza, per tutti coloro che collaborano, di non dovere attendere la fine dell’ergastolo per uscire dal carcere e, per quelli che non collaborano, la consapevolezza di non avere alcuna possibilità di uscire di prigione».

Così Piero Grasso, ex presidente del Senato e oggi senatore di LeU, ma soprattutto ex magistrato, ospite di Casa Minutella, il talk show condotto da Massimo Minutella su BlogSicilia.it.

«Eliminare la legge sui collaboratori di giustizia – ha avvertito Grasso – sarebbe grave perché i pentiti si sono rilevati uno strumento irrinunciabile. Ancora oggi, visto che la criminalità organizzata non è stata sconfitta completamente, sono ancora più importanti perché la mafia non si manifesta più in maniera violenta ma si inflitra nell’economia legale e coinvolge varie categorie esterne, come gli imprenditori, i burocrati e i politici. Non vorrei che si ritorni in quel momento, già vissuto all’epoca del maxiprocesso e successivamente, in cui i collaboratori di giustizia cominciarono a parlare di collusioni con altri poteri ma diventarono oggetto di attacchi continui e di campagne di denigrazione, con la comparsa di un giudizio etico negativo. Sì, sono stati mafiosi ma, se la loro collaborazione è sincera, sono uno strumento essenziale per lo Stato».

Grasso ha ricordato di ritenere una vittoria dello Stato anche la scarcerazione di Brusca, nonostante avesse progettato un attentato contro di lui: «Era l’autunno del 1992. Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, Totò Riina, dal momento che la trattativa con lo Stato non decollava, chiese un altro ‘colpettino’ e, anziché di proseguire la strategia di uccisione di alcuni politici che non avevano rispettato gli accordi, si stava decidendo di uccidere un altro magistrato e Brusce fece il mio nome. In quel periodo andavo a trovare spesso mia suocera a Monreale, che era malata. Questa frequenza diede a Brusca la capacità di organizzare e progettare l’attentato, insieme a tipi quali La Barbera, Di Matteo e Calabrò. C’era pronta anche l’autovettura, un fiorino bianco, da posteggiare sopra un tombino, all’interno del quale posizionare l’esplosivo. Accanto, però, c’era una banca che, grazie alle frequenze che emetteva, avrebbe potuto disturbare il telecomando per azionare la bomba. Però, mentre stavano cercando un altro dispositivo, mia suocera morì e io, quindi, non andai più a Monreale».

«Avrei, quindi, molte ragioni di risentimento nei confronti di Brusca perché sua potenziale vittima ma la legge dello Stato ha l’obiettivo di trovare la verità. Bisogna rispettare il dolore dei familiari delle vittime ma questi devono comprendere che, per avere un ristoro morale, è necessario dare a quei tipi dei benefici nell’interesse della collettività», ha concluso Grasso.

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