In manette Alfredo Giordano

“Il direttore di sala del Teatro Massimo era Cosa Nostra”

Tra i 62 arrestati dai carabinieri nell’ambito di una doppia indagine su cosa nostra a Palermo e in provincia c’è anche il direttore di Sala del teatro Massimo di Palermo Alfredo Giordano, accusato di associazione mafiosa.

La figlia di Giordano, Laura, è soprano del Teatro Massimo. A Giordano i pm contestano di fare parte dello storico clan di Santa Maria di Gesù.

Il dipendente del Massimo sarebbe intervenuto nelle dinamiche interne del mandamento partecipando a incontri e riunioni con altri affiliati, fornendo supporto a latitanti, facendosi portatore presso l’organizzazione criminale delle richiesta di sostegno di candidati alle elezioni.

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Non sapendo di essere intercettato, Giordano parla con un altro uomo d’onore, Gaetano Di Marco, di microspie degli investigatori.

E si lamenta che l’ex moglie, con cui aveva assistito in passato diversi latitanti, minacci di denunciarlo se lui non le darà un aumento dell’assegno di mantenimento.

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“Dopo 27 anni che è stata con me e che veniva nei latitanti”, dice riferendosi, tra l’altro, al ricercato Carmelo Zanca. “Siamo andati dieci anni a mangiare… ad assicutare… a Melo… dov’era… era… per i latitanti”, racconta. Poi al figlio dello storico boss Ignazio Pullarà rivela: “due sere prima che arrestavano a tuo padre… ci siamo mangiati sgombri e champagne!”.

Giordano ammette, dunque, candidamente le sue responsabilità: “trent’anni che combatto coi latitanti ed estorsioni”. Per i pm è la prova, si legge nella misura cautelare – “del suo perdurante ed attuale inserimento era poi chiaramente dimostrato dalla frequentazione con gli altri uomini d’onore cui si sentiva intimamente accomunato”. “Tu sei mio fratello – dice – Tanino è mio fratello… io sono nelle vostre mani…”.

Il sovrintendente del Teatro Massimo, Francesco Giambrone, d’intesa con il sindaco-presidente Leoluca Orlando, ha sospeso il direttore di sala Alfredo Giordano, arrestato su disposizione della procura di Palermo nell’ambito di un’inchiesta antimafia.
La Fondazione che – come gli inquirenti hanno chiarito – è completamente estranea all’inchiesta, si costituirà parte civile nell’eventuale giudizio.

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