Gentile direttore, leggo sul vostro giornale l’intervento di Michele Li Vecchi quale spunto di riflessione alla luce dello scenario politico attuale, verso le amministrative, sul principio di sussidiarietà, di libertà e di giustizia sociale. La domanda quantomai stimolante che pone l’autore è quanto attuale possa essere il messaggio politico socialista sul tema della sussidiarietà.

A centoventinove anni dalla fondazione del Partito socialista italiano avvenuta a Genova e a ventinove anni dalla barbarie consumata davanti l’hotel Raphael nei confronti di Bettino Craxi, l’ultimo segretario del PSI, credo che abbiamo una sola certezza: l’odio che s’infranse sui finestrini di quell’auto e il conseguente calvario di un uomo e del suo partito non sono riusciti a essere fondanti per una nuova Italia e rendono quantomai attuale il tema del principio di sussidiarietà, di libertà e di giustizia sociale.

A maggior ragione il principio di sussidiarietà orizzontale, che contempla la suddivisione dei compiti fra le pubbliche amministrazioni e i soggetti privati, soprattutto nelle amministrazioni locali, è assolutamente necessario e attuale. Il modello della pubblica amministrazione che non dà spazio ai privati è fallimentare e urgono misure eccezionali di coinvolgimento dei privati nella gestione dei servizi comunali al fine di efficientarne i livelli essenziali.

Così i cittadini, devono potere partecipare alla cura dei bisogni della collettività, mentre le istituzioni pubbliche e i pubblici poteri devono intervenire in funzione sussidiaria, programmando, coordinando e controllando, eventualmente anche gestendo.

Anche io come Li Vecchi mi sono formato culturalmente su una base socialista e ho abbandonato la politica 29 anni fa perché consideravo che la storia e gli eventi giudiziari avessero condannato alla scomparsa, in Italia, il diritto di fare politica per chi aveva condiviso quei valori dovendo dare spazio al presunto nuovo che avanzava: ma i risultati sono stati disastrosi. Da quinta potenza economica mondiale il nostro Paese è diventato un paese che arranca, la classe politica che abbiamo avuto e che tuttora abbiamo presenta profili che hanno causato una sempre maggiore disaffezione dei cittadini alla politica; anche gli ultimi moralizzatori, una volta tastato il seggio hanno messo da parte presunte regole di intransigenza e di superiorità morale che li hanno trasformati in personaggi poco credibili. E anziché portare sviluppo e lavoro è stato sostituito il fatidico pacco di pasta da rifilare ai meno fortunati con più eleganti e attuali carte elettroniche contenenti un reddito sacrosanto ma ricattatorio in quanto sbandierato non come diritto ma come concessione della “nuova” politica.

La migliore distribuzione della ricchezza deve rispettare ogni uomo, in quanto percepita attraverso il lavoro e non in quanto attribuita come elemosina, non alimentando contemporaneamente – cosa ancor più grave – alcun meccanismo virtuoso che possa portare sviluppo e incentivi alle imprese che vogliono investire. Incentivi che devono partire da una burocrazia zero, che deve restituire fiducia alle imprese e finalmente consentire realmente il diritto di “fare impresa”, senza il cappio delle regole ammazza-aziende, del fisco percepito come sanguisuga, della totale mancanza di infrastrutture al servizio dello sviluppo. Partendo da una pubblica amministrazione in cui il personale che vi lavora venga realmente messo nelle condizioni di operare, rispettandone il ruolo e le funzioni, riqualificandolo e riclassificandolo per rendere moderna ed efficiente la macchina amministrativa, restituendo dignità lavorativa a chi è condannato al part time o al precariato.

Dalla presa di coscienza della fallimentare politica portata avanti in Italia, in Sicilia e a Palermo, con l’occasione e il programma presentato dal professor Roberto Lagalla, ho accettato di riscendere al servizio della mia città perché intravedo in questo progetto e in quello della lista civica “Lavoriamo per Palermo-Lagalla Sindaco” la possibilità di un riscatto di Palermo passando proprio dai principi di sussidiarietà, di libertà e di giustizia sociale.