‘La Borsellino andrebbe eliminata’… ‘come tutti quelli di quel circolo antimafia’. Sarebbero più o meno queste le frasi che l’ex presidente di Confindustria giovani Siracusa, l’imprenditore Gianluca Gemelli, indagato per traffico di influenze nell’ambito dell’inchiesta ‘petrolio, l’ex fidanzato del ministro Guidi, avrebbe pronunciato parlando al telefono mentre era intercettato.

Le frasi le ha riportate ieri La Repubblica che racconta come siano inserite in un rapporto della questura di Potenza. Frasi simili a quelle che il presidente della Regione Rosario Crocetta avrebbe ascoltato da Matteo Tutino e che fecero scoppiare lo scandalo, la protesta e così via.

“Insieme a Lucia Borsellino e agli altri simboli dell’antimafia, secondo Gemelli andrei eliminato anche io -dice oggi a La Sicilia Crocetta – . Come vedete quando si parla dei ‘quartierini’ questo presidente della Regione non c’entra mai”.

Crocetta sottolinea poi che quelle di Gemelli sono parole “davvero pensanti”  alla domanda se non ha un senso di dèja vu con il caso Tutino, il governatore risponde: “Non voglio rivangare una vicenda per cui ho sofferto tantissimo e aspetto giustizia. Quell’intercettazione non esiste, l’hanno detto tutti i giudici…Questa sì. E non mi pare una differenza da poco…”.
Ma a prescindere dall’esistenza o meno di questa o quella intercettazione, materia sulla quale deve pronunciarsi la magistratura e non certo la politica ne l’opinione pubblica, il dato che sorprende è un’altro: perché sulla frase presunta di Gemelli non è esplosa l’indignazione generale?
Certo le parole di un imprenditore non sono come quelle che avrebbe ascoltato il Presidente della Regione restando in silenzio, ma si parla di imprenditore in vista, lanciato in Confindustria, compagno di un ministro ecc ecc.
Scoppia, invece, un’altra indignazione. quella per l’intervista di Bruno Vespa a Riina jr vicenda sulla quale oggi Vespa ricorda che le icone del giornalismo come Bocca e Biagi intervistarono Liggio e Vallanzasca senza che scoppiasse la polemica. Insomma intervistare i criminali è una parte dell’informazione. Sporcarsi le mani serve a informare e il pubblico poi valuta, decide, ascolta o meno.
Ma oggi, rispetto a ieri, c’è qualcosa di diverso in questa Paese e nella società in genere. Ci sono i ‘leoni da tastiera’ quelli duri e puri dietro ad un pc, sui social network, l’antimafia non più neanche delle parole ma quella dei post.
Una indignazione pronta a mandare al rogo i libri che non ci piacciono, che plaude alle librerie che (legittimamente per carità) si rifiutano di vendere un libro. Una indignazione pericolosa che rischia di diventare intolleranza. Perché è questa l’origine di ogni intolleranza che porta poi ai periodi bui della democrazia. Ma bruciare i libri e mandare al rogo giornali e giornalisti non ha mai aiutato la lotta al crimine e men che meno la democrazia.
Una antimafia, quella che vuole imbavagliare l’informazione e la conoscenza,  che non si indigna più per quel che accade nel mondo ma solo per quello che è virale sul web, per quello che gli amici di facebook, i follower di twitter i contatti di Linkedin e chi più ne ha più ne metta) condivideranno, cliccheranno, riproporranno.
Cervelli all’ammasso e indignazione a comando governano il sistema. E intanto l’antimafia diventa sempre di più un gioco per chi costruisce carriere e affari nascondendosi dietro a queste icone o per chi ne fa solo occasione di pubblica indignazione (social) o per le piazze. davvero una brutta stagione per la lotta alla mafia.
Perdonaci Paolo (prima ancora di Lucia) perché non siamo più capaci di indignarci davvero, perché non siamo più capaci di farlo fuori dagli schemi di questa o quella ideologia politica, di questo o di quell’interesse personale, di questa di quella fazione.

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