Esistono famiglie ‘speciali’. Per carità, in fondo tutte lo sono: problemi da risolvere, obiettivi per cui lottare, desideri da realizzare ci accomunano un po’ tutti. Ma per alcuni ogni cosa è profondamente diversa: ci sono famiglie dove poter osservare un pezzetto di cielo, fuori dalle mura-microcosmo di casa, diventa una conquista a tutti gli effetti, un traguardo agognato e sudato.
Maria Intagliata è una donna di 53 anni, paraplegica dall’adolescenza a causa di un incidente. Ha scelto di non considerare la propria condizione come un nemico da sconfiggere, ma di accogliere tutto il bello ed il bene di quanto le stava intorno. Trenta anni fa Maria ha sposato Giovanni Ganci, paraplegico anche lui, che adesso di anni ne ha 58. Vivono in carrozzina: fianco a fianco, e su quattro ruote a supplire alle gambe, hanno costruito il proprio sogno d’amore e di vita, tanto da riuscire persino, nelle loro condizioni, a sfidare la scienza medica e a diventare genitori. Vent’anni fa, la vicenda di Maria e Giovanni era finita su tutti i giornali. Lei riuscì a rimanere incinta e a portare in grembo 5 gemelli. Nacquero prematuramente e sopravvissero solo due bambine: Sharon e Karmen.
La prima, non avrebbe potuto sapere che sarebbe diventata il ‘capofamiglia’. Già, perché oggi è esclusivamente lei ad occuparsi dei genitori e insieme a loro a patire del distacco dalla sorella, una ragazza dolcissima e speciale, ‘costretta’, date le sue condizioni a vivere lontana dai suoi affetti. Quella di Karmen infatti, viene sbrigativamente definita “disabilità globale”: Karmen è non vedente, affetta da ritardo psicomotorio ed epilessia. Date le sue condizioni, non può abitare in casa con i genitori e Sharon, perché quest’ultima non potrebbe far fronte alle esigenze di tutti.
Perché? Semplice. Come decine di altri casi di cui BlogSicilia vi ha parlato, – basti pensare a Giovanni Cupidi o ai fratelli Alessio e Gianluca Pellegrino – la famiglia Ganci-Intagliata non ha alcuna forma di assistenza domiciliare, proprio come i ragazzi ed i loro genitori, che stanno portando avanti da tempo la propria – ma di tutti i disabili – battaglia contro il governo regionale inadempiente che nella interlocuzione con i soggetti interessati dimentica forse che il sostegno, che queste persone chiedono, non è una gentile concessione bensì un diritto.
Per questo Maria, che per pudore e riservatezza non ha mai reso pubblica la propria quotidianità, ha deciso di raccontarsi a cuore aperto, e non senza difficoltà.
“La gente – dice – deve sapere quello che viviamo ogni giorno. Io sono chiusa in casa, non posso andare alle manifestazioni ma i miei compagni di lotta disabili non si stanno risparmiando ed io non posso restare a guardare, voglio far sentire la mia voce. Intanto loro sono costretti a subire dai politici un trattamento vergognoso, come quando sono stati convocati in audizione all’Ars ma hanno dovuto attendere che qualcuno capisse come far entrare le carrozzine in un palazzo pieno di barriere architettoniche. Tutto questo mi fa molto male”.
Da novembre 2016 la famiglia di Maria è abbandonata dalle istituzioni. E’ Sharon che fa tutto: bada ai genitori, sbriga le commissioni fuori. Ogni giorno, per tre ore, arriva a dare una mano una collaboratrice domestica, che Maria paga di tasca sua. Le ore di assistenza di cui la coppia usufruiva, negli anni si sono ridotte sempre più, prima erano tre, poi addirittura una e mezza, sino ad essere azzerate.
“Non ci sono soldi – si sentono ripetere da Comune e Regione – non si può fare altro”.
Il risultato è che quando la signora finisce le faccende e va via, resta tutto sulle spalle di Sharon, che diventa, amorevolmente, il genitore di chi l’ha messa al mondo. La sera, la notte, le domeniche e le feste, è Sharon a pensare a mamma, a papà e alla casa. Con il risultato che, ad appena 20 anni, la ragazza, come constata amaramente Maria, “non può studiare, non può lavorare o partire con gli amici, non può fare nulla di quello che sarebbe giusto fare alla sua età”.
‘Qualcuno’ che gli fa compagnia 24 ore al giorno – al posto dell’assistenza – la famiglia ce l’ha. E’ il pensiero costante di Karmen, che attualmente è ospite in una residenza sanitaria della Lega del Filo d’oro a Termini Imerese. Gli anni dell’infanzia, invece, i più belli, ha dovuto trascorrerli in una comunità in Umbria.
Maria si commuove: “Io vorrei tanto che mia figlia fosse con noi, ma se dovesse avere una crisi epilettica, come faremmo? Deve fare la fisioterapia, ha bisogno di tante cose. Desidererei che venisse qui, magari nel fine settimana. Ma non abbiamo avuto mai una assistenza adeguata alle necessità sue e nostre. Non c’è mai stata una soluzione, o una alternativa valida…”
Con enormi sacrifici, quando Maria, Giovanni e Sharon possono, si mettono in viaggio per raggiungere Karmen. Pochi attimi di felicità quelli trascorsi insieme, a fare una scorpacciata di sguardi, baci e abbracci da custodire nei giorni lunghi della lontananza che pesa come un macigno al centro del petto e che sono una sfida continua.
Perché, come puntualizza Maria, chi è disabile, al mattino quando si sveglia, deve fare i conti “con una serie di problemi gravi. Non si tratta solo di lavarsi e vestirsi, c’è la vita da affrontare. Ed è tutto estremamente difficile”.
Maria sa bene ciò che dice, lo constata ogni giorno: “Da 40 anni sono disabile e le nostre patologie non fanno sconti a nessuno. Con il passare del tempo il nostro corpo è sempre più martoriato e la situazione si aggrava ulteriormente”.
L’anno scorso Giovanni, che è anche cardiopatico e diabetico, ha rischiato di morire per le conseguenze di un intervento chirurgico di ‘riparazione’ delle piaghe da decubito.
Quando è tornato a casa, è stata Sharon a vegliarlo ininterrottamente. A spostarlo dal letto alla carrozzina e viceversa.
Nonostante tutto, Maria e Giovanni non si sono arresi. Credendo nella solidità dei legami e nella solidarietà, hanno teso la mano a centinaia di persone che sono passate da Casa Famiglia Karmen, una comunità alloggio aperta da loro nel giugno 2004, un omaggio al coraggio della figlia disabile ma prima di tutto un luogo dove hanno curato le ferite del corpo e dello spirito di persone con gravi disabilità fisiche, in situazione di emergenza e a rischio di esclusione sociale.
Una casa piena di colori e di luce, di comprensione, di partecipazione, dove ogni ospite – la struttura poteva accoglierne 8 contemporaneamente – si sentiva importante per gli altri, più coraggioso nell’affrontare la malattia ed il disagio.
Casa Famiglia Karmen “si poteva salvare” – dice Maria con rimpianto – invece nel 2013 ha dovuto chiudere, non c’erano più soldi. Una realtà bellissima che era riuscita ad andare avanti con progetti finanziati prima dalla Provincia regionale di Palermo e poi dall’assessorato regionale alle Politiche sociali. I locali di quella che è stata la prima la prima comunità alloggio per disabili gravi del Palermitano, presi in affitto, erano stati adeguati alle condizioni di chi ci viveva.
Maria a volte sogna ancora di essere là. E non si rassegna alla perdita di quella che era diventata “una famiglia meravigliosa dove il clima era stupendo ed i rapporti intensi, anche con gli operatori, 9 persone a cui davamo occupazione e che ci fornivano tutto il supporto necessario. Avevamo anche due operatori specializzati per la disabilità, due operatori socio-sanitari, un’assistente sociale, un’educatrice. Abbiamo in quegli anni ospitato un ragazzo del Congo, altri della Macedonia e dello Sri-Lanka, molti italiani”.
Quando Maria e Giovanni hanno capito che l’esperienza di Casa Famiglia Karmen rischiava di concludersi, hanno bussato a numerose porte, ma nessuno li ha ascoltati.
Maria ha chiesto aiuto a chiunque potesse fare qualcosa, ma nulla è stato messo in atto per evitare la chiusura della struttura. Armata della buona volontà e del garbo che la contraddistinguono, ha così scritto al governatore Crocetta chiedendogli un incontro e di intervenire, diverse volte. Lo ha fatto nel 2013, con quattro lettere inviate il 12 marzo, l’8 aprile, il 28 ottobre ed il 27 novembre, queste ultime due recapitate anche all’allora assessore regionale alla Famiglia ed alle Politiche sociali, Ester Bonafede.
Alle accorate missive, in cui Maria ha spiegato la situazione emergenziale della propria famiglia e di Casa Karmen, non è mai seguita alcuna risposta da parte dei destinatari. Maria ha allegato certificati medici, stato di famiglia, certificato Isee, copia del riconoscimento della legge 104. Ha tratteggiato cioè, in maniera assai dettagliata, il proprio contesto, chiedendo il finanziamento di un progetto di vita indipendente. Tutto è rimasto, e mai espressione fu più azzeccata, lettera morta.
Tra pensione di invalidità ed indennità di accompagnamento, Maria e Giovanni percepiscono meno di 800 euro a testa al mese, ai quali bisogna sottrarre la spesa necessaria all’acquisto dei farmaci non dispensati dal servizio sanitario nazionale. Insomma, di soldi per vivere, gliene rimangono ben pochi, figuriamoci per pagarsi eventuali assistenti.
A chi ascolta, la domanda viene spontanea: “Scusi, ma il Comune è a conoscenza delle vostre condizioni? Gli assistenti sociali sono venuti?”
“Sanno tutto – risponde Maria con delusione – la situazione è sempre la stessa, se venissero mi direbbero che non ci sono fondi né progetti e allora si risparmiano la visita”. Di certo, dopo la ‘presa’ di palazzo d’Orleans dei disabili e il duro scontro verbale con Pif, che ha scelto di essere portavoce della loro protesta, il governatore Crocetta ha dato i numeri. Sia beninteso, qui non c’è nessuna ironia. Ha fatto verifiche, accertamenti, calcoli, soldi da prendere qui e mettere lì, da dare adesso o dopo. Tutti provvedimenti provvisori, come quello del Fondo da 36 milioni che assegna a ciascun disabile 5400 o 3000 euro per i prossimi tre mesi. E poi?
Maria ha le idee chiare: “Si tratta di un contentino. La disabilità è un problema permanente che ha bisogno di risposte definitive. I soldi stanziati servono a ben poco”. E spiega perché: “Un disabile gravissimo, immobilizzato, ha bisogno di assistenza continua per la quale servono almeno quattro persone che si turnino, perché chi fa la notte il giorno dopo riposa. Ad un assistente, che ti accudisce dalle 6 alle 8 ore al giorno, almeno 600 euro al mese devi darle. Quindi, se vuoi assistenza adeguata devi spendere circa 2400 euro al mese. Come capisce bene i conti non tornano e la coperta è troppo corta”.
Eppure Crocetta sembra soddisfatto. Soprattutto dopo aver ‘smascherato’ i disabili gravissimi e di aver scoperto che a Misilmeri c’era una grande differenza tra le carte e la realtà. Fatto sta che Maria abita proprio a Misilmeri. Possibile che ci fosse così tanta gente che chiedeva assistenza che non gli spettava?
“Che devo pensare – riflette Maria – se ci sono meno disabili gravissimi di quanto si pensasse io non posso che esserne contenta, chiaramente è meglio così. Ma non siamo un paese di truffatori. Per quanto mi riguarda non ho mai avuto pienamente quello che mi spettava, se qualcuno ha approfittato di benefici non dovuti è giusto che venga scoperto e si riformi il sistema ma non devono essere altri a patire le conseguenze degli sbagli di chi ha fatto magari anche chi ci amministra. Il modello ‘virtuoso’ che intende applicare il governatore, mutuato da quello della Regione Toscana, non so sino a che punto sia valido. Mi sembra che si voglia ridurre tutto a schemi e classificazioni ma ci sono disabilità così complesse che necessitano di piani e programmi individualizzati, creati ad hoc caso per caso. Ci vuole un’attenzione che non sono sicura che i signori politici abbiano”.
Maria, proprio parlando dei politici, lo dice a più riprese: “Io non ce l’ho con nessuno. Ma una cosa devo dirla, e lei mi deve assicurare che la scriverà. Questa gente (ovvero i politici, ndr) ha la faccia di bronzo. Quando Crocetta ha visto i disabili di fronte a lui, ha strabuzzato gli occhi, come se avesse fatto una scoperta. Ma queste cose le sapeva da tempo. Io per anni ho fatto parte dell’Associazione siciliana Medullolesi Spinali: vent’anni fa, con il fondatore Salvatore Balistreri, abbiamo manifestato proprio a piazza Indipendenza per l’abbattimento delle barriere architettoniche nei palazzi istituzionali. Ebbene, non è cambiato niente”.
Maria poi aggiunge: “Crocetta non ha risposto alle mie lettere ma devo riconoscere che non è nuovo a simili atteggiamenti, sebbene sperassi diversamente”. E racconta ancora del suo amico Salvatore Balistreri, tetraplegico ed eroe dei diritti dei disabili “che è morto nel gennaio 2014 aspettando che Crocetta lo ricevesse. Scriva anche questo, per favore”.
Imprigionata. Così si sente Maria, “bloccata sulla sedia e nella vita. Senza aiuto”.
“Un mondo di invisibili che sta finalmente diventando visibile”: così ha parlato il governatore dei disabili quando ha nominato il nuovo assessore regionale alle Politiche sociali, Carmencita Mangano, definendola “persona che saprà recepire le istanze” dei disabili.
Queste parole a Maria, e non solo a lei, non sono piaciute affatto. Anzi, a dirla tutta, sono suonate come un’offesa.
“Noi non siamo invisibili – chiarisce energicamente – siamo relegati che è diverso”.
Poi l’appello, l’ennesimo: “Presidente, mentre lei parla le persone colpite da grave e gravissima disabilità muoiono nelle proprie case trasformate in prigioni. Muoiono per le complicazioni della malattia, per la solitudine ed il silenzio. Noi non chiediamo solo l’assistenza, ma un sostegno globale che ci permetta di raggiungere il massimo grado di autonomia, di svolgere una vita ‘vera’, di non considerare fantascienza poter andare al mercato o a prendere una boccata d’aria in riva al mare. Quindi per i politici, se davvero ci vogliono aiutare, non è più tempo di slogan pubblicitari”.
Il tempo, già. Quello che per chi è impossibilitato a fare tutto o quasi, incombe come una spada di Damocle. Maria di storture da raccontare ne avrebbe a migliaia, ma una, legata proprio al concetto di tempo, è emblematica: “A mio marito – per fare un esempio tra tutti – le piaghe sono venute perché per mesi ha aspettato che gli venisse fornito il materasso antidecubito…e poi, se ognuno venisse assistito a casa per come necessita, non è difficile capire che diminuirebbero i ricoveri in ospedale, lo Stato risparmierebbe pure!”
Mancanza di libertà e di partecipazione alla vita sociale. E’ questa per Maria una costante della condizione dei disabili sulla quale intervenire immediatamente e per cui chiede “risposte serie ed in tempi brevi per uscire dall’isolamento”.
Intanto la vita scorre, e si cerca di rincorrere, anche in carrozzina, la normalità. Maria sorride e confida: “Sharon è finalmente uscita qualche ora, due volte a settimana va a scuola guida, voglio che prenda la patente, come gli altri ragazzi…”.
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