E’ morto il pentito di mafia Angelo Siino, 77 anni, l’ex ‘ministro dei Lavori pubblici’ di Cosa nostra, la mente economica del boss Totò Riina che, per anni, ha gestito gli appalti pubblici per conto di Cosa nostra. ‘Bronson’, come veniva chiamato il collaboratore di giustizia, è morto lo scorso 31 luglio, ma la notizia è stata tenuta segreta anche per volere della famiglia.
Lo conferma l’l’avvocato di Siino Alfredo Galasso. “Anch’io ho saputo in ritardo la morte del mio assistito – dice Galasso – E’ stata una scelta della famiglia”.
Siino soffriva di diabete e di altre patologie, tra cui una forma di demenza senile. La sua condizione di salute è nettamente peggiorata dopo il suicidio del figlio Giuseppe, avvenuta nel 2019.
Il pentito ha deciso di collaborare nel 1997, in gran segreto, raccontando tutti gli affari di Cosa nostra, imprenditoria e politica.
Siino frequentava l’intera Cupola di Cosa nostra, dai boss Provenzano e Riina, a Brusca e Bontate, fino all’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. E insieme hanno gestito arbitrariamente tutti i gangli del potere alla loro portata. Fino al giorno in cui ha deciso di raccontare tutto ai magistrati. Un collaboratore di giustizia ‘eccellente’, che per anni ha spiegato agli inquirenti tutti i retroscena di Cosa nostra.
Ha raccontato l’espansione degli interessi di Cosa Nostra nel Nord Italia, o la discesa degli affaristi settentrionali nei meandri delle dinamiche mafiose. Un uomo potente, Siino, chiamato ‘Bronson’, patito di auto da corsa e pilota di rally, così potente da essere lui a guidare la Papamobile nella visita che Karol Wojtyla fece a Palermo il 21 novembre 1982. A quel tempo era ancora ‘ministro’ in ‘carica’ in Cosa nostra. Le sue dichiarazioni, a partire dal 1997, hanno aperto squarci sull’intreccio mafia-politica-imprenditoria fino a quel momento soltanto sfiorati. Aveva avuto da Totò Riina la “delega” ad occuparsi dei grandi appalti miliardari degli enti pubblici ed a mediare con gli imprenditori, grossi e piccoli, siciliani e del nord Italia.
A lui Riina aveva anche affidato la “divisione” delle tangenti per i politici che avevano aiutato Cosa nostra a gestire in prima persona con prestanomi i grandi appalti. Quando ha deciso di collaborare, l’ex ‘ministro di Cosa nostra” a cui avevano già sequestrato patrimoni per ben 12 miliardi di vecchie lire, stava scontando una pena a 8 anni di reclusione agli arresti domiciliari ed era stato raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare per l’appalto truccato e gestito da Cosa nostra per i lavori della nuova pretura di Palermo. E qualche giorno decise di collaborare.
Il suo “ruolo” ed i suoi rapporti con l’ alta finanza ed i politici era stato delineato da tre pentiti di primo piano di Cosa nostra: Balduccio Di Maggio, Leonardo Messina e Giovanni Drago. Ma a raccontare fatti inediti e di grossa portata su Siino era stato il boss ormai pentito Giovanni Brusca che faceva da tramite tra Totò Riina ed il “ministro” di Cosa nostra. Qualche anno fa Siino decise di raccontare tutti i segreti di Cosa nostra in un libro, scritto con il suo legale storico Alfredo Galasso.
Nel libro (“Vita di un uomo di mondo”) ha raccontato personaggi come Salvo Lima e Michele Sindona, senatori della Repubblica come Giulio Andreotti e Marcello Dell’Utri. Ci sono i ricordi dei viaggi fra i lussi di Parigi e quelli nei gironi del carcere dell’Asinara, delle battute di caccia con le “mangiate” e le “parlate” nelle masserie dei boss, ma anche i retroscena di alcune vicende che hanno fatto tremare un’isola e anche l’Italia intera. “Sono e mi chiamo Angelo Siino, nato a San Giuseppe Jato il 22 marzo del 1944. Ho ripetuto queste generalità cento volte dinanzi ai Tribunali e alle Corti di tutt’Italia, fino a perderne il senso reale, il senso della mia vita”. E’ questo l’incipit del suo libro.
Nel 2014 aveva deposto a lungo al processo sulla trattativa tra Stato e mafia. E lì aveva rivelato che il boss mafioso Totò Riina veniva chiamato «Zio 1» mentre il capomafia Bernardo Provenzano veniva chiamato «Zio 2». Siino quel giorno parlò della figura di Pino Lipari, l’ex consigliere economico del boss Provenzano: “Si occupava delle segrete cose dei corleonesi”. Ma rivelò anche che negli anni Ottanta Cosa nostra aveva progettato di uccidere l’ex Presidente della Regione siciliana, Rino Nicolosi (deceduto anni fa ndr).
“A me lo raccontò Giovanni Brusca – spiegò in aula – Mi disse che Nicolosi stava iniziando a rompere sugli appalti e che gli voleva rompere le corna. Brusca incarico Nitto Santapaola di fare un “lavoretto a Nicolosi” ma Santapaola si rifiutò. Io e Rino Nicolosi ci occupavamo entrambi di appalti, io facevo i lavoretti di secondo ordine, ma eravamo gelosi l’uno dell’altro. Io rispettavo un criterio. Lui assegnava gli appalti per una miscela di interessi all’interno della Regione”. Parlò anche delle elezioni politiche del 1987: “Claudio Martelli mi venne a trovare a casa a Palermo per chiedermi di votare per lui e per cercare voti per lui”. Quello che poi sarebbe diventato il ministro delle giustizia, sempre secondo il racconto di Siina, gli avrebbe promesso che avrebbe fatto “approvare delle leggi che avrebbero incontrato l’interesse di certe persone”.
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