Sono in corso le indagini per risalire ai giovani che si trovavano con Gaetano Maranzano la notte in cui fu ucciso Paolo Taormina. Gli investigatori sono certi che sarebbero stati in due a colpire Paolo Taormina, il ventunenne ucciso nella notte tra sabato e domenica in via Spinuzza, a pochi passi dal teatro Massimo.
Mentre Gaetano Maranzano, 28 anni, ha confessato di avere sparato, gli investigatori stanno concentrando l’attenzione su un altro giovane dello Zen, amico dell’indagato, che avrebbe preso parte all’aggressione e colpito per primo la vittima con una bottiglia. Per lui l’ipotesi di favoreggiamento non è l’unica valutata dagli inquirenti, che stanno verificando se il suo ruolo possa essere stato più attivo di quanto finora accertato.
Oggi, davanti al Gip, l’udienza di convalida di Maranzano, assistito dagli avvocati Rosanna Vella e Luca Monteleone, accusato di omicidio volontario: fermato domenica mattina dai carabinieri, ha già ammesso ogni responsabilità davanti ai pubblici ministeri Maurizio Bonaccorso e Ornella Di Rienzo, raccontando la sua versione che però non convince del tutto.
“Mi dichiaro colpevole”, ha detto ai magistrati nell’interrogatorio di lunedì. “Quattro mesi fa scriveva a mia moglie con profili falsi su TikTok e Instagram, poi ho saputo che era lui. Siccome mi guardava male e si agitava, nel suo cervello mi voleva sfidare”. Maranzano ha spiegato di essere partito dallo Zen con alcuni amici e di avere raggiunto via Spinuzza verso le due e mezza di notte. Racconta che, appena arrivato davanti al locale, “c’era un ragazzo con un gilet bianco che discuteva con noi, ma io non l’ho aggredito”. Un testimone, quest’ultimo, che si sta ancora cercando perché potrebbe aiutare a ricostruire cos’è accaduto.
Poi sarebbe comparso Paolo. «Voleva farmi fare brutta figura davanti a tutti. Parlava verso di me, diceva: “Qua non si deve fare vucciria”; “Mi state siddiando”, mi voleva mettere in cattiva luce davanti alle persone, pur sapendo che io…”. La frase resta sospesa, come annotano i pm. E continua: “Visto che lui mi voleva far fare mala figura, gli ho detto: non mi stuzzicare perché lo sai che ce l’ho con te. Lui se n’è fregato e mi parlava in maniera agitata, mi ha rimproverato. Dopo pochi minuti di colluttazione, non ci ho visto più e gli ho sparato». Alla domanda su come potesse essere certo che i messaggi sui social provenissero davvero da Taormina, risponde: «Perché ha mandato una foto. Se lo vedevo prima cercavo di chiarire. Ma lui mi ha preso di petto davanti a tutti. Allora sei scemo, vero?». Gli viene obiettato che non si uccide una persona per questo ma la risposta è agghiacciante: «In quel momento ero troppo arrabbiato e ho pensato così». E quando gli chiedono chi fossero gli amici che lo avevano accompagnato, si chiude a riccio in puro stile mafioso: «Sono partito da casa con amici di cui non intendo rispondere circa le loro generalità».
E dopo lo sparo? “Me ne sono andato allo Zen. Mi sono fatto accompagnare da una persona che era lì”. Resta muto anche sul nome di chi lo avrebbe aiutato a fuggire, aggiunge soltanto: “Non intendo rispondere”. Il nome di quella persona, tuttavia, gli inquirenti lo conoscono già e gli approfondimenti sulla sua posizione sono in corso.
Nel decreto di fermo, si parla di un’azione compiuta “con gesto fulmineo e violento”, confermata dai filmati e dalle testimonianze dei presenti. Le immagini ricostruiscono passo dopo passo la notte di sangue davanti al pub O Scrusciu, gestito dalla famiglia Taormina.
Alle 2.50 si vede una rissa tra più giovani, poi Paolo che esce per dividere i contendenti. Un ragazzo robusto, con barba e collane d’oro, lo colpisce con una bottiglia di birra alla testa. La vittima crolla a terra. Pochi secondi dopo sopraggiunge Maranzano che, approfittando del caos, estrae la pistola calibro 9 e spara un solo colpo, a distanza ravvicinata, centrando il giovane alla nuca. «Mi trattava come un burattino. Ci sono modi e modi di parlare con le persone. Lui si agitava, prima con tanti ragazzi e poi nei miei confronti», ha ripetuto nel verbale, ammettendo di avere portato con sé l’arma fin da casa, come aveva fatto altre volte: “Troppe disgrazie. Ho paura, ormai per scendere a Palermo ti devi guardare, un cocktail ti costa la vita”. Ai magistrati ha riferito anche di avere buttato “i colpi in una fognatura” mentre la pistola, una Sig Sauer calibro 9 nuova, l’ha consegnata ai carabinieri quando si sono presentati a casa sua. Anche se non ha voluto dire dove l’avesse presa.






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