Gli indagati nell’operazione di polizia di Stato e carabinieri. In carcere sono finiti i palermitani Vittorio Emanuele Bruno, 43 anni, Ludovico Castelli, 55 anni, Paolino Cavallaro, 28 anni, Girolamo Celesia, detto Jimmy, 53 anni, Settimo Centineo, 39 anni, Antonino Chiappara, 55 anni, Giuseppe Ciresi, 33 anni, Maurizio Di Fede, 53 anni, Gioacchino Di Maggio, 39 anni, Pietro Paolo Garofalo, 53 anni, Sergio Giacalone, 53 anni, Francesco Greco, 64 anni, Antonino Lauricella, 52 anni, Ignazio Lo Monaco, 46 anni, Antonino Lo Nigro, 42 anni, Salvatore Lotà, 62 anni, Tommaso Militello, 58 anni, Rosario Montalbano, 35 anni, Antonino Mulé, 41 anni, Tommaso Nicolicchia, 38 anni, Francesco Oliveri, 37 anni, Onofrio Claudio Palma, 43 anni, Vincenzo Procaccianti, 40 anni, Emanuele Prestifilippo , 51 anni, Cosimo Salerno, 44 anni, Andrea Seidita, 48 anni, Luciano Uzzo, 52 anni, Giuseppe Parisi, 45 anni, nato a Melito Porto Salvo (Rc), Pietro Parisi, 41 anni, nato a Siderno (Rc).

Ai domiciliari Michele Mondino, 78 anni, e Giuseppe Orilia, 71 anni.

Operazione antimafia a Brancaccio e Ciaculli

Nuovo colpo al mandamento di Brancaccio e Ciaculli. La polizia di Stato e i carabinieri di Palermo hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare del gip nei confronti di 31 indagati accusati a vario titolo di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale e estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Per 29 è scattato il carcere e 2 agli arresti domiciliari. Le indagini sono state coordinate dalla Dda.

Le indagini sono state avviate dalla squadra mobile di Palermo e dal servizio centrale operativo nel 2019 e avrebbe permesso di fare luce sull’organigramma delle famiglie mafiose nel mandamento di Brancaccio che comprende le famiglie mafiose da Corso dei Mille a Roccella. Le misure cautelari dalla scorsa notte sono scattate a Palermo, Reggio Calabria, Alessandria e Genova

La famiglia di Brancaccio

Le indagini sono scattate all’indomani degli arresti di novembre del 2019 e hanno cercato di individuare i protagonisti della riorganizzazione delle famiglie mafiose consentendo di  ricostruire gli assetti delle famiglie mafiose di Brancaccio. Sarebbero cosi stati identificati i probabili vertici, gregari e soldati, affiliati a cosa nostra che avrebbero messo a segno decine di estorsioni, commesse ai danni di numerosissimi commercianti e imprenditori e avrebbero gestito le piazze di spaccio sparse sul territorio di Brancaccio. Parte dei soldi messi insieme da queste attività sarebbero state utilizzate per mantenere le famiglie dei carcerati.

Gli arrestati questa notte a Palermo

Tra gli arrestati nell’operazione congiunta di polizia e carabinieri c’è Antonio Lo Nigro, 43 anni, già coinvolto in indagini sul narcotraffico e imparentato con l’ndrangheta. Antonio è cugino di Cosimo che fu incaricato di trovare l’esplosivo per la strage Falcone. Cosimo fece parte del commando che uccise don Pino Puglisi e organizzò le stragi del 1993, è in carcere all’ergastolo. Insieme ad Antonio sono stati raggiunti dall’ordinanza di custodia Giovanni Di Lisciandro, Stefano Nolano Stefano,  Angelo Vitrano e Maurizio Di Fede. Fra i 5 soggetti indagati nell’indagine dei carabinieri su Ciaculli si sono Francesco Greco ed Emanuele Prestifilippo.

Le cinquanta estorsioni commesse, una anche allo sfincionaro

Nell’ordinanza vengono ricostruiti e documentati  50 estorsioni ai danni di titolari di esercizi commerciali, ma anche al piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione. Il pizzo viene imposto in quel mandamento  a tutti gli operatori economici.  L’estorsione non ha risparmiato neppure uno sfincionaro il quale, dopo aver trovato i lucchetti bloccati dall’attak si è rivolto ad uno degli indagati per mettersi a posto. Anche un imprenditore edile si è rivolto alla famiglia di Brancaccio per non avere problemi per costruire appartamenti. Aveva intenzione di acquistare un terreno e ancora prima, come emerge in una conversazione registrata dalla polizia, chiede protezione alla famiglia mafiosa per non incorrere in furti, rapine o danneggiamenti. I sopralluoghi e l’eventuale richiesta di pizzo avvenivano anche nei cantieri in prossimità di un commissariato di polizia.

Il traffico di stupefacenti

Cosa nostra sta puntando di nuovo sul traffico di stupefacenti che rappresenta un’importante voce nel bilancio delle famiglie. Dalle “sei piazze di spaccio dello Sperone”, tutte direttamente gestite o comunque controllate dai componenti del clan il ricavo presunto calcolato è di circa 80.000 euro settimanali. Nel corso delle indagini è confermato il rifornimento della droga dalla Calabria. Due calabresi sono destinatari dell’ordinanza. Nel corso delle indagini sono stati 16 gli arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sequestrati circa 80 chili di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8.000.000 di euro.

La scelta di vita degli indagati contraria alla libertà democratica

Afferma il giudice nell’ordinanza “non ci si può infine esimere dal rimarcare che costituisce plastica dimostrazione di come la scelta di vita degli indagati sia fondata, già in termini culturali e “ideali”, proprio su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole “sbirro” o carabiniere” quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate”.

In tale contesto si richiama l’intercettazione dello scorso maggio del 2019, durante i preparativi per il ricordo della strage di Capaci e via D’Amelio, veniva prospettata l’intenzione di un parente di un coindagato di far partecipare la figlia alle relative iniziative scolastiche.

In proposito il presunto uomo d’onore, dopo aver apostrofato la parente del coindagato come sbirra, ha sottolineato come lui non avesse mai prestato il consenso alla partecipazione definita “vergogne” a queste iniziative, ribadendo che non potevano “immischiare le carte con Falcone e Borsellino”.

Continua il giudice che “si colloca nel medesimo solco, ed è per la verità ancora più sconcertante, il fatto che la “formazione” mafiosa non abbia risparmiato nemmeno una bambina in tenera età che, dopo lunga preparazione, si accingeva a partecipare a una iniziativa scolastica in memoria dei rimpianti Giudici Borsellino e Falcone”.

Cosa nostra e il furto di 16 mila mascherine

Ci sarebbe Cosa nostra dietro al furto di venti cartoni con 16mila mascherine FFp3 sottratte per rivenderle, in piena emergenza epidemiologica. Il particolare emerge dall’inchiesta di Polizia e Carabinieri che oggi ha portato, a Palermo, a 31 arresti.

La mafia di Ciaculli e gli arresti dei carabinieri

Le indagini dei carabinieri hanno consentito di ricostruire i vertici e le attività del mandamento mafioso di Ciaculli. Cinque sono i destinatari delle misure cautelari. L’organizzazione avrebbe imposto le cosiddette sensalerie, delle vere e proprie mediazioni, sulle compravendite di immobili nel territorio. I cittadini per concludere affari immobiliari, si sono visti costretti ad accettate l’intermediazione degli indagati ritenute dagli investigatori delle vere e proprie estorsioni Molto diffusa nella zona tra i mandarini è la coltivazione di cannabis che serviva a rifornire le piazze di spaccio del capoluogo.

La mafia mette le mani sull’acqua

La mafia di Ciaculli avrebbe messo le mani sull’acqua. Soprattutto quella irrigua da fornire ai contadini. Acqua che sarebbe stata sottratta direttamente alla conduttura “San Leonardo”, di proprietà del “Consorzio di Bonifica Palermo 2”. Gli uomini della famiglia mafiosa di Ciaculli avrebbero deviato l’acqua delle condutture incanalandola in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini nelle campagne Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Per molti produttori la famiglia di Ciaculli era diventata punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali per eccellenza nella coltivazione.

Le scommesse on line

Un ulteriore “affare” sul quale gli uomini di Ciaculli avrebbero imposto il controllo, è stato rintracciato nella gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali che avrebbe assicurato cospicui introiti nella cassa della famiglia di Ciaculli. Anche in questo caso l’organizzazione avrebbe imposto sul territorio l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta alle attività ludiche dalle leggi italiane. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.

L’arsenale di Ciaculli

Dalle indagini è anche emerso che il clan di Ciaculli avrebbe avuto anche a disposizione un vero e proprio arsenale di armi. Ad ottobre 2020 i carabinieri hanno arrestato Emanuele Prestifilippo e di rinvenire nella sua disponibilità un fucile da caccia (doppietta) marca Beretta cal. 12 e otto munizioni celate all’interno di alcune balle di fieno accatastate nel maneggio di sua proprietà nella zona di Croceverde Giardini. I militari hanno ricostruito che la potenza di fuoco della famiglia mafiosa potesse contare anche su numerose armi semiautomatiche gestite e nascoste nelle campagne di Ciaculli. Armi che sinora non sono state trovate.

Il sequestro di aziende e negozi

La polizia giudiziaria ha eseguito un sequestro preventivo del capitale sociale, di beni aziendali e dei locali della impresa, per un presunto valore complessivo di circa 350.000 euro. Secondo le indagini sarebbe frutto di intestazione fittizia, nei confronti di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.

 

 

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