Cosa Nostra ha aiutato gli Alleati nello sbarco del 1943? E se sì, quale vantaggio avrebbe ottenuto? Siamo all’inizio del 1986, Michele Sindona è alla sbarra per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli. Intervistato da Stefania Svenstedt, il banchiere di Cosa Nostra parla dell’Operazione Husky e del ruolo dei servizi segreti americani: “Lei lo sa chi era Donovan? Il capo dell’Oss Americano che poi mandò le truppe in Sicilia. Al seguito c’erano loro. Anzi il capo loro era un carissimo amico mio, Max Corvo. Quello che mi ha dato tutti gli elementi per l’organizzazione siciliana. Io lottai in quel periodo e avevo 25 anni”.

L’Operazione Husky

Entriamo così nel cuore dell’Operazione Husky: l’operazione di intelligence affidata a Corvo era stata battezzata con un nome particolare dalla politica statunitense: The Mafia Circle. La storia non è del tutto chiara. C’è chi sostiene – come lo storico Salvatore Lupo – che l’apporto di Cosa Nostra sia stato nullo. Chi invece reputa la mobilitazione delle famiglie mafiose un fattore fondamentale per il successo di quell’operazione militare. Su un punto però sono tutti d’accordo: dopo l’armistizio, gli Alleati consegnarono il potere amministrativo delle città siciliana a decine e decine di boss mafiosi.

Mafia, politica e massoneria, il patto scellerato

Ma non è soltanto la mafia a fare capolino. Alla guida dell’intelligence Alleata c’è James Angleton: è un ufficiale dell’esercito americano, iscritto alla massoneria.  E’ lui a scovare Max Corvo, anche lui massone. Sul campo di battaglia si celebra quel sodalizio che inquinerà la storia siciliana sino ai giorni nostri: mafia, politica, massoneria.

Corvo prepara lo sbarco sin dal 1942. Fa base in Africa. Assieme a lui ci sono gli agenti Vincent Scamporino e Victor Anfuso. I tre giovani avvocati di origine siciliana, tutti fratelli di Loggia, hanno il compito di colpire in Sicilia, trovare alleanze e aprire la strada all’avanzata militare che deve portare alla sconfitta di Italia e Germania. Secondo lo storico Giuseppe Carlo Marino ” l’intelligence americana fu protagonista dell’operazione insieme a quella inglese. Non poteva non essere parte integrante della preparazione dello sbarco e soprattutto parte integrante dell’operazione successiva, quella dell’insediamento delle truppe nell’isola e della formazione di consenso, affinché queste due potessero fruire di una almeno la non ostilità da parte della popolazione”.

L’agente Corvo entrerà in contatto con personalità della massoneria in esilio, come Randolfo Pacciardi e con il gotha della mafia italo-americana, da Lucky Luciano a Vito Genovese e Albert Anastasia. In campo appaiono per la prima volta i nomi di due personaggi destinati a segnare, nel bene e nel male, la storia futura dell’Italia. Sono Michele Sindona e Licio Gelli.

“Lo sbarco alleato è stato agevolato dalla mafia”

Il ruolo della mafia nello sbarco, dunque, è realtà storica o leggenda? Per il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, depositario di tanti segreti di Cosa Nostra, quella liason ” Non è una leggenda, è una realtà con gli anni di esperienza, ho capito che effettivamente lo sbarco americano è stato agevolato della mafia”.

L’invasione della Sicilia inizia il 10 luglio del 1943. L’armistizio di Cassibile verrà firmato il 3 settembre successivo dal comandante delle forze alleate Dwight «Ike» Eisenhower, futuro presidente degli Stati Uniti, e dal generale italiano Giuseppe Castellano. Si passa all’amministrazione provvisoria, con il generale Charles Poletti.

Poletti si avvale della collaborazione di un giovanissimo Vito Ciancimino e di Damiano Lumia, nipote del boss Calogero Vizzini. Poletti ha il compito di nominare i reggenti provvisori dell’ordine pubblico in Sicilia. I sindaci scelti dal colonnello favoriscono Cosa Nostra: Vizzini verrà nominato nel 1943 sindaco di Villalba, il boss Salvatore Malta otterrà lo stesso incarico a Vallelunga. Altri personaggi piuttosto discutibili vengono promossi sul campo dall’Amgot. Premi e riconoscimenti per tutti. Anche per Tano Badalamenti, allora sconosciuto ventenne, insignito da parte dell’Oss di un attestato di riconoscimento per i servizi svolti a favore della causa alleata.

“Quello che accadde fu, come sappiamo, – ricorda lo storico Marino  –  l’assunzione di poteri amministrativi nei comuni liberati da parte di personaggi che erano nient’altro che i capi mafia dei rispettivi. E questo non soltanto nella famosa e celebre E diciamo e Villalba di don Carlo Vizzini, capo della mafia, capo di Cosa Nostra, secondo un’opinione che ormai è diventata certezza, ma anche una sterminata serie di comuni siciliani dove le autorità erano e le autorità che la mafia, gli americani, gli angloamericani incendiarono, erano quasi tutte appartenenti alla tradizione mafiosa o personaggi autorevoli della mafia. Persino una città come Palermo. Al momento e subito dopo la liberazione e viene affidata all’amministrazione di un sindaco che si chiama è Lucio Tasca e che notoriamente è uno dei personaggi, diciamo, clou del collegamento tra la mafia popolare e la mafia dei ceti dirigenti. Cioè, in altri termini, oggi chiameremmo il punto di riferimento più importante dei colletti bianchi, con un linguaggio che a quei tempi non esisteva ancora”.

Chi spinge la mano del fratello Poletti nel rilasciare nomine e riconoscimenti ai boss locali? Una risposta la forniscono i documenti desecretati dell’archivio Nara.  E’ Vincent Scamporino, in una nota inviata  del  27 aprile del 1944 a spiegare all’intelligence americana cosa sia la mafia e come possa essere d’aiuto per gli obiettivi della politica statunitense nel Mediterraneo. Scamporino tesse le lodi dei boss: «È noto che la cavalleresca vecchia mafia si sta riorganizzando in tutta la Sicilia, ma non deve esser confusa con le bande di delinquenti che per anni si sono spacciati per mafiosi. La mafia l’obiettivo di aggiustare le cose in Sicilia». Si punta a fare diventare la Sicilia la 49 a stella degli Stati Uniti. Ma non tutti sono d’accordo

Washington ordina “Favorire la mafia attraverso l’Autonomia”

Finita la guerra il mondo si divide in blocchi. Adesso bisogna fermare il comunismo. E’ iniziata una delicata partita a scacchi.  Quale destino per l’Isola: uno Stato federato o una regione autonoma ma parte integrante dell’Italia? I report pubblicati a Nara Park  parlano dell’alta mafia che combatte il crimine. Propria in quei mesi nasce a Palermo la loggia dei 3oo, in via Roma 391.Aderiranno politici, boss mafiosi come il «principe» Stefano Bontate, faccendieri, colletti bianchi e uomini dei servizi segreti italiani. Tra i fratelli ci sono anche il console americano a Palermo Nester e il reverendo Frank Gigliotti, il mentore di Licio Gelli.  Tra i tanti documenti dei servizi americani c’è ne uno che fa venire la pelle d’oca. E’ del 21 novembre 1944. Il titolo è “Meeting of Maffia Leaders with General Giuseppe Castellano and Formation of Group Favoring Autonomy”. Seguiranno altri dispacci di quella stessa natura.  Dal monumentale carteggio accumulato dagli agenti Oss in Sud Italia  si scopre la pressione esercitata per volgere la decisione a favore della concessione alla Sicilia di uno statuto autonomistico.  L’autonomia verrà concessa il 15 maggio del 1946,   prima ancora che fosse varata la Costituzione della Repubblica italiana.

Missione conclusa? No, gli stessi uomini, le stesse reti che hanno assecondato il percorso che porta all’Autonomia, creeranno il fronte Gladio.  Lo scopriremo soltanto nel 1990, dopo il crollo dell’Urss, alla vigilia della stagione delle stragi di mafia. E forse non è un caso.