L’ uomo che per ultimo ha deciso di gettarsi nel vuoto lo ha fatto tre giorni fa dal quinto piano di un balcone di via Cilea. Aveva 56 anni.
Pochi giorni prima, alle 7,30 di un mattino di primavera, una donna ha accostato la sua auto al guardrail di un viadotto della Palermo-Mazara del Vallo. Ha aperto lo sportello, ha scavalcato la recinzione e si è buttata di sotto. Aveva 48 anni. L’ avvocato e procuratore sportivo che si è lanciato da una finestra di via Ausonia di anni ne aveva 52.
Dimenticatevi gli adolescenti. Ai tempi della crisi a suicidarsi non sono più soltanto i ragazzi alle prese con la fase più critica della crescita.
La nuova emergenza sono i quaranta-cinquantenni, come scrive Repubblica, incapaci di far fronte al male di vivere: a Palermo è boom di suicidi nella fascia d’ età 45-54 anni, la generazione di mezzo. In trentacinque si sono tolti la vita dal 2010 al 2015.
Nello stesso periodo i suicidi tra i giovani tra 15-24 anni sono stati undici. A uccidersi sono uomini e donne che hanno perso l’ impiego o che non lo hanno mai avuto.
Sono imprenditori che hanno dovuto abbassare le saracinesche nell’ Isola che in dieci anni ha cancellato 200 mila posti di lavoro. Sono mariti e mogli, padri e madri, imprigionati in un matrimonio che si è rivelato sbagliato o rimasti da soli.
Aumentano i suicidi: Ci si toglie la vita sempre più spesso: a Palermo nel 2005 i suicidi sono stati 21, nel 2015 39.
Ma a far paura è che a scegliere «l’ abbraccio salvifico e riparatore della morte», come dice la psicoterapeuta Malde Vigneri, è la generazione di mezzo.
Tra il 2010 e il 2015 la percentuale più alta di suicidi riguarda la fascia d’ età 45-54 anni: 35 casi su 153, il 22,9 per cento.
Nove casi nel 2015, 10 nel 2014, appena 3 nel 2005. Secondo i dati dell’ Osservatorio suicidi di Link Lab dell’ Università degli Studi Link Campus University, la Sicilia è la quarta regione in Italia per numero di suicidi per motivi economici e la seconda, dopo la Campania, per suicidi non andati a buon fine.
«Le persone che hanno scelto di togliersi la vita dopo il 2009, anno di inizio della crisi, sono sempre di più», dice Nicola Ferrigni, sociologo e direttore dell’ osservatorio sui suicidi di Link Lab.
Non tutte le persone vessate dalla crisi scelgono di farla finita.
La base di partenza è sempre «una componente psicopatologica, una alterazione grave del funzionamento psichico che rende la vita intollerabile e insopportabile al punto da vedere nella morte la soluzione del proprio dramma personale» dice Daniele La Barbera, psichiatra e direttore della Scuola di specializzazione in psichiatria dell’ Università di Palermo.
Ma continua lo psichiatra «è verosimile che a questa più elevata incidenza di suicidi nelle età centrali della vita concorrano una serie di fattori sociali e culturali che riguardano più direttamente questa parte della popolazione fatta di persone più esposte alla crisi economica e alle difficoltà occupazionali».
Il peso della crisi . Ha 40 anni e ha perso il lavoro. È in mobilità ma solo per quest’ anno. «Avevo una vita adesso non ho più niente» ha detto a “un angelo dell’ ascolto” della associazione Afipres, l’ associazione famiglie italiane prevenzione suicidio, che ogni giorno riceve almeno 50 chiamate al Telefono Giallo, il numero verde per aiutare chi vuole togliersi la vita. L. è una giovane che ha provato ad inventarsi il lavoro aprendo un bistrot.
Quando ha dovuto abbassare la saracinesca perché gli incassi erano troppo bassi rispetto ai costi, il mondo le è crollato addosso. Ha chiamato il numero verde 800.913308 del progetto “Approdo Sicuro Sos Imprenditori nel mare della crisi”, ideato dall’ Ordine degli psicologi della Sicilia che ha siglato una convenzione con le associazioni di categoria di Palermo: in sei mesi sono state almeno quindici le richieste di aiuto. «Colpa e vergogna: più si è sfiorato o raggiunto il successo più il fallimento diventa intollerabile» dice Ivana Vitrano, coordinatrice scientifica del progetto.
Per Livia Nuccio, presidente Afipres, l’aumento dei suicidi della generazione di mezzo va affrontato come una emergenza anche dalle istituzioni: «Servono presidi di ascolto. Salvarsi si può. Ma non da soli».
Il sogno infranto. Ha 48 anni. Quando la moglie lo ha lasciato ha pensato di farla finita. Vive in un struttura della Caritas perché dopo aver versato gli alimenti dello stipendio non gli rimane granché.
Non solo la perdita del lavoro, a far crollare le difese è anche lo sfaldarsi della famiglia. Nella generazione di mezzo «i capisaldi antropologici – famiglia, affetti, genitorialità, generatività – sono messi in crisi. Ci si sente sperduti, privi di quei grandi ideali che rendono il vivere una grande avventura del pensiero, immensamente soli e desolati» dice la Vigneri. I matrimoni che falliscono ma anche la rete di protezione familiare che viene meno.
«L’ ammortizzatore sociale per anni rappresentato dalle famiglie di origine, che prima con i risparmi e le pensioni supplivano alle carenze dello Stato, è in via di esaurimento – dice Nicola Ferrigni – a quaranta o cinquant’ anni senza un lavoro e senza una prospettiva ti senti finito ». «Perdono per quello che sto facendo, ti voglio bene…»
Lo ha scritto alla figlia poco prima della fine. Poi, a Villabate, ha cosparso l’auto di benzina e si infilato dentro all’ abitacolo con un accendino in mano. La ditta di autotrasporti per la quale lavorava lo aveva appena licenziato. Aveva 54 anni.
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