Un fiume di persone hanno affollato la zona del cimitero di San Martino delle Scale dopo l’inchiesta dei carabinieri che ha portato a quattro arresti, divsersi indagati e tanti tantissimi aspetti da chiarire sulla gestione del camposanto.

Rabbia, ma anche tante lacrime di disperazione per non sapere dove deporre un fiore o dove inginocchiarsi per pregare per i propri cari.

Questa mattina, presso il cimitero di San Martino, un via vai continuo di persone, nella speranza di ritrovare i propri defunti nello stesso loculo dove erano stati seppelliti anni prima.

Di tantissimi non c’è più la fotografia, si tratta di quelli deceduti almeno venti anni fa, i cui parenti da tempo non si recavano a trovarli. Tante fotografie sono invece ammucchiate intorno a poche lapidi, insufficienti a contenere tutte le salme.

“Qui dovevano essere contenute soltanto 4 bare, il signor Messina me lo aveva assicurato, invece ci sono almeno 80 fotografie di persone decedute” racconta una signora. “Ho chiesto più volte spiegazioni, ma mi dicevano che al di sotto ci sono dei cunicoli, per cui le bare venivano spostate all’interno”.

“Al signor Messina – racconta un’altra signora – abbiamo dato 10.000 euro. 5.000 per tumulare mio padre, altre 5.000 per riservare un posto accanto a lui per mia madre, ancora in vita. Soldi buttati al vento, così come gettata da qualche parte è la bara di mio padre”.

Al cimitero il Comandante della Stazione dei Carabinieri di San Martino è assalito da decine e decine di persone che chiedono spiegazioni. “Dovete venire alla Stazione a partire da domani, per presentare la denuncia. Siete tantissimi, centinaia”. Il comandante non si spiega perché, nonostante i tanti dubbi, nessuno sia venuto a fare denuncia in questi anni.

“Davano spiegazioni rassicuranti, magari evasive, e noi ci abbiamo creduto. Gestivano il cimitero da almeno 20 anni. Sembrava assurdo che ci fosse una truffa dietro”, rispondono in tanti, pentiti di avere dato loro fiducia.

Dietro una intercapedine la famiglia Messina aveva creato un’area dove gettare le ossa, poi coperte dal cemento. A chiudere il vano avevano spostato una lapide con le foto di persone defunte nel 1970, nel 1971. Morti che non ricevevano ormai più visite, nessuno avrebbe chiesto spiegazioni.

Un’altra discarica era stata creata dietro il muro di cinta del cimitero. Il giro di soldi era enorme. 5.000 € a salma. Vista la penuria di posti nei cimiteri palermitani anche dalla vicina città arrivavano clienti. Almeno 1 milioni e 200 mila euro se si guardano i conti correnti delle persone arrestate.

Ma c’è senza dubio un sommerso che ancora deve essere scoperchiato. “Io lavoro alla camera mortuaria di Villa Sofia – mi racconta un residente di San Martino -. Da lì tanti parenti di defunti si rivolgevano ai Messina che gli garantivano il posto a San Martino”.

Quello di San Martino era un cimitero piccolo, gestito dall’abbazia della frazione di Monreale. I parenti dei defunti avevano le chiavi del cancelletto d’ingresso fino ad una ventina di anni fa. Poi le cose erano cambiate. Era stata sostituita la toppa e la gestione era passata a “Zu Giovanni Messina”.

Il servizio era completo e impeccabile. “Giovanni & Figli” si occupavano di tutto il servizio funebre, con tanto di carro, del disbrigo delle pratiche, della tumulazione. A San Martino quasi tutti si rivolgevano a lui ormai da anni.

“Lo conoscevamo tutti. Lo trovavi spesso a giocare alle macchinette al bar – racconta un residente -. Un giorno mi disse che ci aveva lasciato 900 euro”.

“Zu Giovanni sapeva anche essere generoso. Quando qualcuno aveva bisogno e gli chiedeva un prestito non si tirava mai indietro e metteva subito le mani in tasca. Era piena di bigliettoni” – racconta una signora. “A volte non gli venivano restituiti, ma non succedeva niente”.

L’indagine, che al momento coinvolge 11 persone, tra le quali l’ex abate Musumeci che, secondo gli inquirenti, tratteneva una percentuale sull’incasso per il servizio, potrebbe allargarsi anche ad altri soggetti. Molti abitanti del luogo si spingono a fare anche dei nomi di persone con ruoli ben definiti che – asseriscono con assoluta certezza – “non potevano non sapere”.