“Sono necessarie clausole di salvaguardia che consentano, in caso di mancato esercizio della potestà legislativa delle Regioni, l’applicazione delle norme nazionali”. Arriva dall’Anci Sicilia, e in particolare dal suo presidente Leoluca Orlando, la terza via nel dibattito che precede l’avvio del processo di revisione e attualizzazione dello Statuto siciliano. Un tema di cui si è discusso ieri a Montecitorio al seminario sul documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle problematiche relative l’attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale dal titolo “Il futuro delle regioni a statuto speciale alla luce della riforma costituzionale”.

I sindaci siciliani si ‘infilano’ in un ménage à trois insieme a Stato e Regione. Roma e Palermo negli ultimi mesi si sono contrapposti tenacemente a colpi di dichiarazioni.

Il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, alfiere del renzismo in Sicilia, ha più volte attacato lo Statuto speciale siciliano, sostenendo che contiene troppi privilegi per alti burocarati e politici e pochi reali vantaggi per i cittadini. I più maliziosi pensano però che il governo in realtà miri alla riforma dell’articolo 37 dello Statuto, che prevede che le imprese industriali e commerciali che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, versino le imposte in Sicilia per la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. Una partita sempre aperta tra Stato e Regione che il governo nazionale vorrebbe chiudere a proprio vantaggio una volta e per tutte dopo aver strappato al governatore Rosario Crocetta , proprio sull’articolo 37, un accordo favorevole allo Stato.

In difesa dell’ ‘anima’ dello Statuto siciliano si è espresso più volte il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, presente anche lui al dibattito a Montecitorio. “Le autonomie territoriali e locali e la potestà legislativa regionale sono elementi costitutivi delle politiche nazionali ed europee. L’autonomia, quale uno dei principi fondamentali della Costituzione, non è, negoziabile e la specialità rappresenta un’applicazione avanzata di quelle motivazioni, secondo standard europei. Lo stesso superamento del bicameralismo paritario e perfetto, emerso in Italia da tempo nelle diverse sedi istituzionali, costituisce uno degli elementi di convergenza e di continuità nella valorizzazione delle autonomie territoriali”.

Ma il presidente dei sindaci dell’Isola sostiene che proprio il “cattivo esercizio della speciale autonomia in Sicilia è stata negli ultimi anni la causa principale di tante criticità che si sono registrate su settori essenziali come quello dell’ordinamento degli enti locali (Città Metropolitane e liberi consorzi), la gestione integrata di acque e rifiuti, la materia degli appalti pubblici”.

“L’esperienza di questi anni dimostra, – continua Orlando – che a garanzia dell’efficienza dell’azione amministrativa e di governo della Regione Siciliana e degli enti locali della stessa, è necessario pensare in sede di revisione costituzionale della materia, pensare a clausole di salvaguardia che consentano, in caso di mancato esercizio della potestà legislativa delle Regioni a Statuto Speciale, la certezza derivante dall’applicazione delle norme nazionali”.

La guerra sulla sorte dello Statuto siciliano è, quindi, appena cominciata. Dal suo esito dipenderanno gli equilibri politici e, soprattutto, economici della nostra già traballante Regione.