“Umanamente non si potrà mai perdonare. A me hanno tolto una parte di me e la mia vita non sarà più la stesa. Per me il dolore della morte di mio fratello non si rimarginerà mai. Per mia madre la sofferenza è ancora più grande.

Ma abbiamo fiducia nella magistratura che ci è stata sempre vicina. Se non crediamo nella magistratura non crediamo più nello Stato. Ha espiato la pena nel rispetto della legge”.

Nicola Di Matteo, fratello del piccolo Giuseppe il bimbo rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, all’età di 12 anni, in un maneggio di Piana degli Albanesi, da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato. Giuseppe, su ordine di Brusca, fu strangolato e poi disciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, dopo 25 mesi di prigionia.

“Se non rispettiamo questa sentenza non rispettiamo lo Stato che ci è stato sempre vicino, – aggiunge il fratello di Giuseppe – come familiare di un bimbo ucciso non posso mai accettare una cosa del genere. Io credo che mia madre non perdonerebbe mai una persona che gli ha ucciso il figlio. E’ difficile da perdonare per tante persone comuni che ci hanno dato la loro solidarietà e stima vera per quanto successo. Figurarsi per un familiare”.

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